I reduci dalla maratona artistica di giugno, con ancora negli occhi le roboanti installazioni no-war della Biennale veneziana, o le riconsiderazioni sulla pratica artistica nel contesto sociale di Documenta a Kassel o ancora i progetti site specific a Munster, questi reduci infaticabili potrebbero rimanere disorientati di fronte alla rassegna sulla pittura italiana dal 1968 al 2007 che ha aperto ieri a Palazzo Reale. Qualcuno potrebbe chiedersi se ha ancora senso, nella contemporanea trasversalità di linguaggi e nello sconfinamento degli spazi dellarte nel contesto urbano, continuare a circoscrivere le ragioni della pittura e delle sue correnti anche recenti. Eppure, paradossalmente, il progetto ideato da Vittorio Sgarbi e curato dal recentemente scomparso Maurizio Sciaccaluga sta lì a dimostrare che questo senso esiste ancora. Non soltanto per quel potere taumaturgico che la pittura conserva e che negli ultimi quarantanni ha avuto fieri paladini non sempre riconosciuti a dovere e talora vittime di uno star system che, come ricordava Sciaccaluga, sempre più spesso ha premiato pochi eletti per dissimulare un certo snobismo verso limmarcescibile olio su tela. Ma anche perché ha il merito di voler storicizzare artisti altrimenti abbandonati a se stessi, talora al dimenticatoio, spesso (vizio italiano) ai tritacarne dei mercanti darte (in Italia i galleristi veri, quelli che dimostrano di credere nei loro giovani, anche quando viaggiano nelle grandi fiere straniere si contano sulle dita di una mano). Eppoi, sempre citando lo sfortunato Sciaccaluga, ancora oggi «è pur sempre il quadro il grande nodo da sciogliere, il problema con cui confrontarsi».
Ma veniamo appunto alla mostra. Qualche critico spocchioso potrebbe forse gridare alla carnevalata di fronte alla rassegna di 232 artisti che accosta, nel calderone del quarantennio, artisti di estrazione, età biologica e poetica totalmente disparate: dal metafisico De Chirico al fumettaro Jacovitti, dalla dissacrante Carol Rama con la sua Annunciazione al Che Guevara neopop di Barbara Nahmad, che del Leone doro Carol potrebbe essere la pronipote.
Ma perchè poi partire dal 68, data memore di ben altre avanguardie? Il 68, dice Sgarbi «è un anno di crisi e di esaltazione e di illusioni, convenzionalmente scelto come punto di partenza della contemporaneità». E poiché si era in piena era concettuale con i Poveristi a farla da padroni, ecco allora che la figurazione riemerge come eroica araba fenice. «Non per curiosità e stravaganza - sottolinea il critico assessore - ma per scelta ideologica». Ora con la consapevolezza del torinese «pentito» Salvo, ora con il citazionismo diffuso dei Carlo Maria Mariani o dei transavanguardisti come Mimmo Paladino o Sandro Chia, ora con il pop nostrano dei Baratella, Festa e Schifano (italiano mai abbastanza rivalutato), ora con il ritorno allordine della Nuova Scuola Romana, «gruppo-non gruppo» formato da Bruno Ceccobelli, Gianni Dessí, Giuseppe Gallo, Nunzio, Pizzi Cannella e Marco Tirelli.
Ben vengano le sale di Palazzo Reale anche per la generazione dei quarantenni, come quelli dellOfficina milanese (Frangi, Pignatelli, Velasco, Petrus) e anche per i medialisti di fine millennio, come Guida, Nido, Vescovi, De Filippi e Bellucco. Forse nel Belpaese, lunione qualche volta fa la forza.
Arte italiana 1968-2007
Palazzo Reale
Fino all11 novembre
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.