Jihad a Milano: cinque arresti volevano far saltare la metro

Progettavano un attentato nel capoluogo lombardo e a Bologna nella basilica di San Petronio. I piani: "Daremo una lezione alla città di Berlusconi"

Jihad a Milano: cinque arresti 
volevano far saltare la metro

L’operazione brillante dei carabinieri del Ros, certamente costruita in accordo con i servizi di sicurezza stranieri, con la collaborazione di Paesi arabi a governo moderato, e che ha svelato un’organizzazione terroristica legata a Al Qaida, dimostra una volta di più che l’Italia è crocevia, base, è ancora purtroppo la nazione dove infiltrarsi è più facile per gli integralisti islamici, per i salafiti e i seguaci di Osama bin Laden, che vogliono attaccare l’Europa. Non è una coincidenza che l’unico arrestato stesse tranquillamente in un centro di prima accoglienza in Sicilia e avesse chiesto asilo politico. Si chiama Houcine Tarkhani, tunisino di quarantadue anni, condannato nel suo Paese a cinque anni di carcere per terrorismo. A parlare è stato Mohamed Ben Hedi, tunisino detenuto in Marocco; insieme ad Ameur Laredj, già in carcere in Algeria, avevano ricevuto l'incarico di organizzare i due attentati in Italia. Era già in carcere anche il marocchino Amine Ghayour, mentre un quinto è ancora ricercato. A Milano, tutti clandestini, avevano vissuto a lungo, membri del Gruppo Salafita per la predicazione e il combattimento, che è confluito, nel 2006, in quello di al Qaida nel Maghreb Islamico. La cellula si occupava di finanziare le attività di reclutamento e addestramento di combattenti da mandare in Irak e Afghanistan, e per fare cassa per la causa utilizzava lo spaccio di droga.

Il procuratore di Milano spiega che gli attentati contro la metropolitana di Milano, alla Basilica di San Petronio di Bologna, alla vigilia delle elezioni del 2006, ma anche contro l’ambasciata degli Stati Uniti a Rabat e altri obiettivi in Francia, Spagna e Danimarca, erano poco più che progetti. La formula è giustificata dal desiderio di non suscitare allarme, eppure qui c’è poco da stare tranquilli, soprattutto guai a chiudere occhi, orecchie e bocca. Nei luoghi prescelti, come lo stesso «pentito» ha spiegato, c’è una simbologia brutale. Milano è la città di Silvio Berlusconi, considerato un nemico dell’Islam e un alleato degli Stati Uniti, a Bologna, dentro a San Petronio, c’è il dipinto che raffigura Maometto, un sacrilegio per gli estremisti. A Milano e a Bologna si sono svolte le presunte manifestazioni per la Palestina, finite con la preghiera di massa, tutti i dimostranti inginocchiati con il volto alla Mecca, tutti istruiti a rivendicare possesso, esproprio, del nostro territorio e della nostra civiltà.

A Milano e a Bologna, nelle due province, nelle due regioni, l’attività eversiva si nasconde a meraviglia nelle moschee fai da te dove finti imam predicano violenza, calando nel nostro Paese senza alcuna autorizzazione, ingrassa a puntino nell'acquiescenza e nel miope calcolo elettorale di amministrazioni di sinistra, pronti a promettere costruzione e apertura di altre moschee. Vi faccio un esempio per tutti. A Sassuolo, città record di immigrati clandestini, Graziano Patuzzi, sindaco e nuovamente ora candidato per il Pd, non tollera la denuncia della parlamentare del Pdl, Souad Sbai, leader dei musulmani delle donne, storico difensore con l’associazione Acmid, dei diritti della donne islamiche segregate in Italia. La Sbai fa un giro della provincia e poi rivela che «l’associazione islamica Hel Huda che gestisce la moschea di Sassuolo è legata al centro di viale Jenner a Milano, dunque fa parte di una rete di estremisti ed integralisti». Quali promesse, e a che prezzo, ha fatto loro il sindaco in campagna elettorale?

Ripeto, la brillante operazione rassicura, ma non ci mette al riparo per il futuro. Le organizzazioni di estremisti islamici si uniscono e insieme inviano kamikaze in Irak che sono l’ultimo ostacolo alla pacificazione, ma sostengono anche la guerra civile in Algeria e nell’escalation di attività progettano attentati in Occidente. La data delle elezioni politiche del 2006 scelta per il progetto abortito non è casuale perché i terroristi ritengono il voto l’occasione ideale per modificare con gli effetti di una strage l’esito del voto.

Certamente la strategia di contenimento del flusso di clandestini immigrati sta cominciando a dare frutti, sarà più difficile che qualche terrorista si rifugi in un centro di accoglienza per chiedere asilo politico nel nostro Paese. Ma le frontiere italiane non sono solo quelle di mare, pretesti per entrare e per restare ne rimangono molti.

Al ministro Roberto Maroni consiglio di ripristinare con urgenza le riunioni della Consulta islamica, rigorosamente composta da moderati e democratici, per uno scambio di informazioni che neanche l’operazione repressiva più brillante può garantire.

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