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Juncker ha una soluzione: alle urne finché il «sì» vincerà

Per il presidente di turno lussemburghese dell’Ue richiamare gli elettori sarebbe il male minore. Ma Blair sta già pensando di cancellare la consultazione britannica

Alessandro M. Caprettini

da Roma

Se la Francia vota no? Jean Claude Juncker non si fa troppi crucci. Pensa, il presidente lussemburghese del semestre, che alla fin fine si potrà tornare a rivotare Oltralpe. Dicono sia questo l’obiettivo del cosiddetto “piano B” da suffragare - all’inizio della prossima settimana - con una forte dichiarazione congiunta dei capi di Stato e di governo dei 25 con cui si vorrebbe notificare che le ratifiche andranno comunque avanti. E se sono parecchi negli uffici comunitari di Bruxelles che sostengono come alla fine questa tesi possa trovare spazio, c’è invece chi ritiene che la mancata approvazione da parte di Parigi possa finire col diventare un detonatore micidiale, specie se accoppiata con l’ormai scontato no degli olandesi.
A Londra, in queste ore, prende sempre più piede ad esempio l’idea di rinunciare al referendum messo in calendario da Blair per il 2006. «Perché spaccarci noi, col rischio di farci del male, se le castagne nel fuoco le hanno messe gli altri?» è la tesi che va circolando tra i fedelissimi del premier. Difficile insomma che il Regno Unito possa aderire all’idea della “dichiarazione d’emergenza” e procedere a sua volta alla consultazione popolare. Ed è giusto di ieri un altro annuncio di notevole rilievo, proveniente dalla Germania. Dove un portavoce della Cdu ha detto senza peli sulla lingua che per i cristiano democratici «è chiarissimo come un no francese alla Costituzione dovrebbe portare alla sospensione dell’allargamento previsto». No dunque a Bulgaria e Romania (in calendario per il 2007) ma anche e soprattutto no all’avvio delle trattative con la Turchia, previsto per settembre. Un annuncio che, se fosse seguito da altre prese di posizione più formali da parte di chi si ritiene possa governare a Berlino dall’autunno, rischia di provocare un terremoto.
Sta di fatto che se da Parigi domenica sera arrivasse la notizia di una bocciatura, nella Ue si aprirebbe una fase magmatica e nebulosa. Alcuni esperti - tra cui Giuliano Amato - ritengono che nel caso si potrebbe recuperare alcuni “pezzi” della Costituzione e immetterli nel trattato di Nizza (Nizza plus) senza passare per nuove ratifiche. Salvaguardando, per esempio, le prospettive finanziarie 2007-2013, la creazione di un ministro degli Esteri comune, l’allargamento. Ma non è affatto scontato sia facile percorrere questo sentiero. Perché sul budget della Ue si sta litigando di brutto tra i 25, perché proprio l’allargamento è una delle ragioni del malessere montante in Europa, perché di ministro degli Esteri comune gli inglesi non vogliono sentir parlare.
A Palazzo Justus Lipsius, sede del consiglio e a Berleymont, dove sta la commissione, non pensano minimamente di una riscrittura del testo messo a punto dalla convenzione guidata da Giscard: si rischia di rinnovare e inasprire gli scontri. Come agire, allora? L’idea delle cooperazioni rafforzate era quella più gettonata sino a qualche tempo fa: un nocciolo duro di Paesi trova intese di politica sociale, fiscale, di difesa, lasciando agli altri la possibilità di una successiva adesione. Ma l’accordo franco-tedesco che negli ultimi anni aveva di fatto guidato l’Unione negli ultimi passaggi, pare agli sgoccioli. Non solo perché un no dei francesi metterebbe Chirac in difficoltà, ma anche perché Schröder non è affatto sicuro di restare al suo posto di qui a quattro mesi. Juncker e Barroso hanno fatto sapere che già domenica sera diranno la loro sul risultato francese. Ma lo snodo è previsto per il 16 e 17 giugno. Quando a Bruxelles, per il consueto summit si incontreranno capi di Stato e di governo.

Sarà a quel punto che si dovranno gettare le carte in tavola.

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