Lassù tra le montagne di sabbia qualcuno festeggia. Lassù tra i villaggi dell’ultima mulattiera per Bala Mourghab qualcuno ha sgozzato un agnello e invitato amici e parenti. Lassù qualcuno gozzoviglia alle spalle dei nostri morti. Chiamatela paga dell’assassino. Chiamatela soldo della morte. Chiamatela come volete, ma chi ha preparato la trappola esplosiva costata la vita al sergente Massimiliano Ramadù e al caporal maggiore Luigi Pascazio si sta dividendo un gruzzolo di quasi 4000 euro. A voler esser precisi la cellula assassina s’è intascata 3814 euro, ovvero 1907 euro per ognuno dei due alpini uccisi.
La cifra - precisa al centesimo - è l’equivalente delle 200mila rupie pakistane garantite come «bonus» ai militanti protagonisti dell’eliminazione di un soldato della Nato. Un vero premio di produzione, un’autentica gratifica inserita in un listino sottoscritto dalla «shura» (assemblea) talibana di Quetta. Un bonus a cui si affiancano i 792 euro promessi a chi sottrae un’arma al nemico e la porta alla base. Una gratifica in più rispetto alla paga mensile di circa 300 dollari versata ai militanti talebani e al compenso unatantum di 1500 dollari per le famiglie degli attentatori suicidi.
I nuovi premi di produzione talebani sono - secondo alcuni analisti - la risposta dei capi dell’insurrezione alla nuova strategia della Nato. La strategia varata dal generale Stanley McChrystal teorizza esplicitamente l’uso del denaro per comprare comandanti e militanti, convincerli a rompere con il Mullah Omar e reintegrarli nella società. Da quando la Nato ha istituzionalizzato il mercato della diserzione i compensi per l’uccisione dei soldati stranieri sono letteralmente raddoppiati. Se 1906 euro non bastano, in base ai nostri standard, a giustificare l’uccisione d’un uomo in Afghanistan la cifra è sufficiente a regalare molte certezze in più. «Per noi sono un sacco di soldi... non abbiamo il minimo problema ad uccidere degli stranieri, ma se facendolo riusciamo non solo ad indebolirli, ma anche a dar da mangiare alle nostre famiglie allora al villaggio è festa grande» spiegava qualche giorno fa un comandante talebano di Ghazni.
La parte più difficile per chi vuole incassare il premio è provare di esser effettivamente il responsabile dell’operazione assassina o della razzia di armamenti. «Non possiamo mentire ai nostri comandanti, loro verificano sempre... per sapere se ci sono stati dei combattimenti nella zona pagano degli informatori, leggono i rapporti della Nato e interrogano i civili» spiegava un talebano della zona di Khost. L’esistenza del listino della morte, confermata da alcuni comandanti, aiuta a capire le regole di mercato che governano l’insurrezione.
Un’insurrezione mossa non solo dal verbo fondamentalista, ma anche dalla necessità di sbarcare il lunario e accedere alla spartizione delle risorse garantite dai traffici di armi e droga. Da quell’autentica cornucopia della guerra escono non solo gli incentivi per le uccisioni dei militari stranieri, ma anche le risorse per pagare lo stipendio mensile ai circa 25mila volontari che, secondo le stime Nato, combattono nel nome del mullah Omar. I conti sono presto fatti. Se lo stipendio di ogni talebano è di 300 dollari allora ogni mese ne servono 7 milioni e mezzo solo per gli stipendi. Un flusso di cassa a cui vanno aggiunti i 406mila euro versati quest’anno per ripagare l’uccisione dei 213 soldati della Nato caduti da gennaio ad oggi.
A questo punto la spinta inflazionistica potrebbe rivelarsi la vera carta vincente della Nato. Lo scorso autunno la decisione d’innalzare a 240 dollari al mese le paghe dei soldati afghani portandole al livello di quelle degli insorti ha già garantito un’autentica moltiplicazione degli arruolamenti.
Proprio quell’iniziativa ha costretto i talebani a raddoppiare i bonus ai propri militanti. Ma ora la Nato potrebbe colpire con decisione il traffico di oppio, drenare la massa di denaro che muove le legioni talebane e paralizzare l’insurrezione.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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