Il kamikaze non si pente La convivente lo lascia e si rifugia dai servizi sociali

Solo, senza una mano e quasi completamente cieco (secondo i medici potrebbe recuperare al massimo l’uso di un occhio) nella sua cella del carcere di Opera, Mohamed Game ormai può dedicare tutto se stesso al radicalismo religioso della fede in Allah. Il libico 35enne di Ben Ghazi, che lo scorso 12 ottobre, armato di una bomba artigianale, tentò di farsi saltare in aria davanti alla caserma dell’esercito «Santa Barbara» in piazzale Perrucchetti, attende infatti per i primi di febbraio la decisione dei giudici sul suo rinvio a giudizio dopo la richiesta inoltrata alla Procura dalla Digos. Per il resto non gli è rimasto nulla. Anche la compagna pugliese di 39 anni, Giovanna M. - dichiaratasi sempre sconvolta dinanzi all’attacco terroristico maturato e messo in atto dal suo uomo -, dopo aver lasciato il bilocale che occupava abusivamente da anni con la famiglia in via Civitali e accettata la protezione dei servizi sociali con i suoi quattro figli (due, di 3 e 5 anni, avuti da Game e altri due, di 10 e 9 anni, nati da una sua precedente relazione) sembra non voler più avere nulla a che fare con il libico. E addirittura, secondo fonti investigative, lo avrebbe abbandonato per potersi dedicare solo ai bambini in modo che possano crescere sereni.
«Giovanna ha già sofferto molto nella sua vita - racconta una zia della donna -. Si è sposata una volta ed è rimasta vedova. Quindi ha convissuto con un italiano e da questa relazione sono nati i primi due figli. Lui l’ha poi abbandonata, andandosene all’estero. È stato allora che Giovanna si è innamorata di Game e dalla loro unione sono nati altri due figli. Lei, però, pur accettando che i bambini venissero educati secondo le regole del Corano, non ha mai abbracciato la fede musulmana. Game? Una sera mi telefonò ubriaco per dirmi che Giovanna voleva lasciarlo, ma non saprei dire fino a che punto il loro rapporto fosse entrato in crisi o meno. So per certo che, dal giorno dell’attentato, non hanno più avuto contatti».
Interrogato a lungo in questi mesi l’uomo, pur provato dalle sue condizioni fisiche e psichiche, non ha mai perso l’atteggiamento orgoglioso e pieno di sé che l’ha sempre contraddistinto. «Ci tiene a rivendicare l’attentato, è sempre apparso fiero di assumersene totalmente la paternità, insistendo a relegare le figure dei suoi due complici (l'egiziano Abdel Haziz Mahmoud Kol di 52 anni, e il libico 33enne Mohamaed Imbaeya Israfel, ndr) al ruolo meramente marginale di coloro che si sono limitati a recuperare l’esplosivo per fabbricare l’ordigno - spiegano in tribunale -. Nonostante questo Game continua a sostenere che, quella della Santa Barbara, voleva essere, nelle sue intenzioni originali, solo un’azione dimostrativa. Naturalmente queste sono tutte sciocchezze: in questo modo probabilmente tenta di ridimensionare le sue responsabilità che, di fatto, però, restano enormi».
In quest’ottica l’espresso invito fatto da Game agli investigatori durante gli interrogatori affinché ricercassero le prove delle sue responsabilità sul proprio computer, lo fa cadere in contraddizione e non può che confermare ancora una volta la sua radicata volontà di diventare, a tutti gli effetti, un kamikaze: dal materiale informatico emergono infatti fin troppo chiaramente i suoi lunghi e approfonditi studi sull’argomento.


«Quest’uomo si è radicalizzato in poco tempo nel suo fanatismo religioso - sottolineano gli investigatori della Digos -. Tuttavia è innegabile che, seppur breve, il processo di auto-indottrinamento lo ha portato molto lontano. E tutto questo è stato possibile anche e soprattutto grazie a internet».

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