Katerina ai funerali con la scorta della polizia

Katerina ai funerali con la scorta della polizia

«Devono pagare per quello che ti hanno fatto». È una delle ultime dediche lasciate sul libro delle visite. È stata scritta poco dopo il funerale del piccolo Alessandro che si è tenuto ieri mattina nella cappella ortodossa di Staglieno. Una mano sconosciuta ha voluto così testimoniare, anche tra parenti e amici che hanno partecipato al rito celebrato da padre Michele, almeno la condanna morale per Katerina Mathas.
Insomma, come era successo intorno all'alloggio di via Donaver, residenza dei Mathas, e sul web, anche al funerale c'è chi pensa al plurale per quanto riguarda le responsabilità dell'infanticidio. Per molta gente entrambi i cocainomani «devono pagare». Lei e il compagno di quella tragica notte al residence di viale delle Palme a Nervi, il broker Giovanni Antonio Rasero, che invece, come maggiore indiziato, rimane ancora chiuso in carcere nonostante i suoi legali parlino di indizi tutt'altro che chiari.
«Rispettate il mio dolore». «Datemi un'altra possibilità». Lo aveva detto Katerina appena uscita da Pontedecimo. Ma sono tanti quelli che pensano che al piccolo Ale nessuno ha mai pensato.
Gli unici che avevano già segnalato la donna come persona che fa uso di sostanze stupefacenti erano stati i poliziotti. Avevano fatto il loro dovere. Anche morale. I soli. Purtroppo. Poi nessuno si era più preoccupato di fare qualcosa per non lasciare quel bimbo di pochi mesi in mano a una tossicodipendente che avrebbe anche «dribblato» una serie di pediatri, sostituendoli ogni volta, probabilmente per non avere «rogne» e continuare a fare egoisticamente la vita che voleva senza badare alle esigenze e ai diritti di Ale che, la notte del delitto, pare sia stato ucciso perché piangeva per fame. Pare che la mamma non lo avesse nutrito da diverse ore.
Ecco, una delle verità di questa triste e drammatica storia potrebbe essere anche questa. È più importante fare finta di niente e «proteggere» una mamma tossicodipendente piuttosto che difendere il diritto a una vita dignitosa che deve essere garantita, soprattutto dalle istituzioni, al suo bimbo. Un diritto concreto e sancito pure dalla Costituzione.
Ieri mattina, praticamente lo stesso. Se da un lato c'è chi, fra la gente, ha condannato moralmente Katerina, dall'altro l'indagata è stata «protetta» dal personale della squadra mobile e della Digos genovese.
Al campo numero 16 di Staglieno, quello dedicato agli infanti, ieri intorno alle 11 gli agenti in borghese erano circa una dozzina, i parenti e amici stretti la metà, poi gli avvocati e i giornalisti. Un altro paio di pattuglie della questura si erano fatte vedere alle 10 in via Casaregis dove, in un primo tempo, si era fatto credere si dovessero svolgere i funerali. Una messinscena con l'invio, anche da parte della polizia municipale, di altre due pattuglie per chiudere la strada dove, peraltro, si erano radunate soltanto una trentina di persone. Molti vicini di casa. Nessuno sembrava minaccioso. Un'attenzione che è parsa a molti eccessiva, visti i tanti mezzi e personale di pubblica sicurezza impiegati per «arginare» i media su richiesta della famiglia Mathas.
«Abbiamo accolto le richieste dei legali della donna - ammette il capo della squadra mobile Gaetano Bonaccorso - ma per evitare possibili conflittualità anche dopo le minacce e gli insulti a Katerina che si erano letti sul web nei giorni successivi alla sua scarcerazione. Nessun intento di «protezione» dell'indagata da chi fa doverosamente il suo lavoro di cronista. Non mi risulta ci fossero agenti della Digos».
Il solito filo di trucco e il rossetto sulle labbra. Jeans attillatissimi, scarpe basse, capelli sciolti e sulle spalle uno scialle grigio chiaro a mo’ di «poncho». Katerina è apparsa addolorata quando ha dato l'ultimo saluto al suo bambino prima che venisse sotterrato. Una corona di rose bianche a forma di cuore firmata da «la mamma e la nonna». Accanto altre rose bianche di Mary, Cry e Dany, le amiche di Katerina.

Poi anche quelle di Rosanna e Federica. La mamma di Ale, accanto alla nonna e alle sue amiche, ha poi ringraziato i parenti presenti e ha lasciato Staglieno, poco prima di mezzogiorno, a bordo dell'auto dei suoi avvocati senza lasciare alcuna dichiarazione.

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