Il Kazakistan detta all’Eni quattro condizioni

Il Kazakistan detta all’Eni quattro condizioni

da Milano

Carte in tavola, adesso si cambia. La visita compiuta ieri ad Astana, la capitale del Kazakistan, dall’ad dell’Eni, Paolo Scaroni, ha permesso di mettere le basi per una discussione che miri a sbloccare la questione del petrolio del Caspio, ma ha anche messo in chiaro che sarà una trattativa lunga e difficile, dall’esito incerto. Un unico passo avanti concreto, ma importante: è stato scongiurato il blocco dei lavori minacciato dai kazaki.
Pochi, ma chiari, i messaggi che il premier Karim Masimov e il ministro dell’Energia Sauat Mynbayev hanno dato a Scaroni in una riunione in cui erano presenti anche il direttore generale Eni per l’esplorazione e produzione, Stefano Cao, e il vicepresidente della Kazmunaigaz, Maksat Idenov. Primo: basta con i ritardi. Secondo: basta con gli aumenti di costo. Terzo: vogliamo compensazioni per rinvii e aumenti, anche attraverso l’ingresso del gruppo kazako come co-operatore. Quarto: tenete fuori la politica. Ovvero: non vogliamo seccature con D’Alema e Prodi.
Se non altro la base per ripartire con le trattative è questa. Poi ci sono tutte le manovre mediatiche messe in atto dai politici di Astana, in cui uno dice una cosa e un altro esattamente il contrario. In cui messaggi diversi si incrociano, ma convergono tutti su un punto: l’Eni e il consorzio di compagnie internazionali potranno restare, ma il Kazakistan vuol guadagnare molto di più. Con le buone o con le cattive: per cui prima minaccia di bloccare i lavori, poi cede un pochino e dice che possono continuare. Prima avverte che potrebbe buttar fuori Eni e consorzio, poi rassicura sul fatto che i partner nel Caspio non cambieranno. Il ministro Mynbayev ha parlato ieri di «violazione sistematica» delle leggi locali, ha minacciato «misure», ma poi si è seduto al tavolo. Insomma: è l’Asia centrale, con il suo petrolio, ma anche con i suoi problemi.
Ma veniamo alle basi della trattativa: ritardi e aumento dei costi fanno calare gli introiti che il Kazakistan si aspettava per questi anni. Primo, perché l’estrazione del greggio inizierà nel 2010 e quindi Astana riceverà i soldi almeno due anni dopo quanto preventivato. Ma anche l’aumento dei costi ha un suo impatto: gli accordi prevedono che (sia pure in maniera progressiva) prima l’estrazione del greggio serva a coprire i costi, poi a dare una rendita anche al Kazakistan. Più i costi salgono, più tardi il Kazakistan andrà a regime nell’incasso degli utili e della sua quota di petrolio.
Astana ha chiesto una compensazione «monstre» per i ritardi di 10 miliardi di dollari: fa parte del gioco delle trattative. Ma qualche contropartita vuole ottenerla. E non è detto che sia in denaro liquido. Come pure la richiesta di far diventare operatore la propria compagnia di Stato ha un senso: al governo locale non bastano i soldi, ma vuole entrare nella stanza dei bottoni. Che ruolo avrà poi nella stanza è tutto da definire, e farà parte delle trattative «lunghe e dure».

Come pure la questione della maggior quota di partecipazione che viene richiesta: che sia espressa in una maggior percentuale di profitti o di produzione petrolifera, o ancora in altro modo, è da decidere. E non sarà questione di giorni, e neppure di settimane.

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