Kerry, l’amica «amerikana»

Silvia Cerioli

Esiste una minoranza di cittadini americani che ha trovato l’America in Italia. A questa élite di fortunati appartiene Kerry Kennedy, figlia di Robert e nipote di John. Di questa fortuna, la signora deve ringraziare Walter Veltroni, sindaco di Roma con il pallino del Partito Democratico. Dovendosi accontentare, al momento, dei Ds e dell’Unione, il primo cittadino cerca di rifarsi frequentando quel che resta del clan kennedyano. Kerry, che ha creato una fondazione per la difesa dei diritti civili con il nome del padre, è ormai di casa in Campidoglio e al Botteghino di via Nazionale. Con un discorso contro Silvio Berlusconi, «reo di non far parlare l’opposizione», ha perfino aperto il congresso Ds dello scorso anno. Peccato, però, che questo Paese liberticida le consenta di fare ottimi affari. Kerry ha deciso di aprire qui la sua sede europea. Venerdì scorso ha persino aperto l’anno accademico dell’Università Roma Tre, insieme, manco a dirlo, all’amico Veltroni, che ha concluso la cerimonia. E a breve, il suo libro Voci contro il potere sarà disponibile nelle scuole italiane. In Lombardia, a promuovere il progetto è Roberto Formigoni. Forse Walter non le ha spiegato che quel signore elegante e gentile è un fiero alleato di Berlusconi.
Dai Kennedy alla Quercia romana. Il segretario Esterino Montino ha voluto un codice di comportamento per le prossime elezioni comunali e municipali. Fin qui, nessuna sorpresa. Di norme di condotta, nella sinistra romana, si parla da mesi, anche per frenare il flusso dei «transfughi» del centrodestra. A leggere il codice dei Ds, il diktat è molto chiaro: «È importante l’impostazione di una campagna elettorale sobria».

Poi il documento spiega in dettaglio come deve essere la corsa alle prossime comunali: «Seria, intelligente e partecipata, fatta di idee e programmi, che si basi più sulla concretezza dei temi politici e programmatici e sul rapporto diretto con gli elettori e le loro organizzazioni associative e di categoria che sulle risorse finanziarie». Deve essere proprio per il rapporto con il territorio che, a Roma, si contano più candidature di attrici e «mogli di» che di dirigenti di partito.

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