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Il killer: "Ho mentito per riavere mia figlia"

Una storia dai mille lati oscuri mai chiariti in 9 mesi di udienze: due vittime scomparse nel nulla. Alla sbarra Esposito e l'amante. La difesa: "Processo senza corpi"

Il killer: "Ho mentito  
per riavere mia figlia"

Viterbo - Giallo di Gradoli: "Ai carabinieri ho mentito per poter riabbracciare mia figlia". Udienza fiume in Corte d’Assise per l’imputato numero uno, l’esperto informatico accusato assieme all'amante di aver ucciso e occultato la compagna Tatiana e la figliastra di 13 anni. Alla sbarra per duplice omicidio aggravato Paolo Esposito, 41 anni, e Ala Ceoban, 25 anni, in carcere dall’estate 2009.

Una storia dai mille lati oscuri che nemmeno 9 mesi di udienze riescono a chiarire. Da una parte due presunte vittime, Tatiana Ceoban, 36 anni, e la figlia Elena, 13 anni, moldave, scomparse nel nulla il 30 maggio 2009, dall’altra i presunti carnefici, Paolo, di Gradoli, paesino sul lago di Bolsena, e Ala, sorella di Tatiana nonché zia della 13enne. "Si è andati a processo con l’accusa di omicidio senza che i cadaveri siano stati trovati", sottolinea il collegio difensivo composto dagli avvocati Enrico Valentini e Mario Rosati per Esposito, Pierfrancesco Bruno per la Ceoban. Non solo. Secondo i difensori le prove della strage avvenuta in un villino in località Cannicelle non sarebbero significative. "Manca l’arma del delitto", chiosa l’avvocato Valentini. "Tracce di sangue, 21 positive appartenenti a Tatiana, sono state repertate in quella cucina, sulla pareti come su vari oggetti", controbatte la pubblica accusa, il pm del Tribunale di Viterbo Renzo Petroselli e le parti civili, l’avvocato Luigi Sini che difende la madre della vittima, Elena Nikyfor e l’avvocato Claudia Polacchi per la seconda figlia di Tatiana, avuta con Paolo, di 7 anni. Una bimba contesa: nominato suo tutore il sindaco del paese, Luigi Buzi, la bimba viene affidata prima a una casa famiglia, poi a una donna bolognese.

Il 30 maggio 2009 è il giorno chiave di questa brutta storia. È sabato, Elena torna a casa con la scuola bus, la mamma è a Viterbo per fare acquisti, la sorellina con i nonni. In via delle Cannicelle, secondo gli inquirenti, ci sono il patrigno Paolo e la zia. Quest’ultima coglie l’occasione dell’assenza della sorella per vedere Paolo, con il quale ha una relazione da anni. E' l’una e trenta. Tania è ancora lontano. Alle 14,16 in un centro commerciale viene battuto lo scontrino di una telecamera acquistata dalla donna. Elena avrebbe dovuto incontrare delle amiche alle 15,30 nella piazza del paese ma non andrà mai all’appuntamento. Secondo un’ipotesi potrebbe essere già morta, strangolata visto che le tracce di sangue rilevate appartengono solo alla madre. L’ultimo contatto fra le due avverrebbe alle 17,36. Sono 35 secondi di telefonata, dal cellulare della donna a quello della 13enne. O meglio, alla sua Sim card visto che l’Imei, il codice identificativo del portatile, una specie di numero di telaio dell’apparecchio, non corrisponde a quello personale della 13enne. Appartiene, invece, a un vecchio cellulare usato in casa come "muletto" di scorta e trovato nella vecchia sede di An di via Piave che Esposito utilizzava come ufficio, ma senza la sim della ragazzina, scomparsa con lei. Elena era ancora viva oppure qualcuno ha risposto al posto suo?

La breve conversazione viene registrata da una cella "anomala", quella di Capodimonte, fuori dal percorso del bus utilizzato dalla donna per il rientro. I tecnici spiegano la cosa con il maltempo: in caso di temporale si può verificare un guasto su una cella e il traffico viene dirottato alla postazione telefonica vicina. E' il punto principale della difesa per dimostrare che Tania non era su quel pullman ma altrove, con una persona mai identificata e con la quale avrebbe organizzato la fuga. Passaporti, carta bancomat, denaro e altri oggetti personali, però, sono stati ritrovati in casa. Secondo Paolo da quel giorno sarebbe andato ad abitare dai suoi genitori, sempre in paese. La scena del delitto, insomma, sarebbe ferma a quel maledetto pomeriggio, o meglio alla domenica successiva secondo la testimonianza in Tribunale di Ala, quando la giovane, dopo pranzo, fa rientro a Santa Fiora, Grosseto, dove vive. I carabinieri del Ris arriveranno al villino dei misteri due settimane dopo. "Dimostreremo alla Corte - dichiara il pm Renzo Petroselli - che Tatiana ed Elena sono state uccise dagli imputati, uniti da una relazione intensa, culminata nel progetto di disfarsi di madre e figlia". Dunque eliminare la compagna scomoda e ottenere l’affidamento unico della figlia per Esposito, sostituirsi alla sorella Tania per Ala. Un dramma che ruota attorno a indagini lacunose, su una serie di telefonate e ben 11mila sms scambiati in sei mesi fra gli imputati e conservati in un dvd. Fra questi un messaggio inquietante inviato dall’utenza di Paolo ad Ala nel 2007: "Tocca ammazzarla, perché lei non ci andrà mai via dall'Italia". "E' un'espressione...

non è una minaccia", spiega la coimputata alla Corte.

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