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Il Kosovo blocca il treno della Grande Serbia

Le minacce alla comunità serba in Kosovo e il ritorno del nazionalismo di Belgrado mettono in pericolo una pace fragile nei Balcani

Il Kosovo blocca il treno della Grande Serbia

La miccia nella ex Jugoslavia non si spegne mai. Nonostante la guerra in Kosovo sia terminata ormai 18 anni fa la nuova struttura geopolitica dei Balcani non appare ancora solida ed equilibrata.

È bastato un piccolo episodio di semplice provocazione per riaccendere le rivalità sopite da una pace imposta dall’esterno. Si tratta del “treno della discordia”, così già soprannominato dai commentatori. Sarebbe dovuto essere il primo convoglio che dopo 18 anni avrebbe dovuto collegare Belgrado a Mitrovica, capoluogo del distretto settentrionale del Kosovo. Quella che sarebbe dovuta essere un’opera di unione tra i due Paesi è invece diventato spunto di conflitto. Il Governo serbo, che non ha mai riconosciuto il Kosovo come Stato autonomo (autoproclamatosi nel 2008), ha deciso di dipingere il treno con i colori della propria bandiera (rosso, blu e bianco). Non solo. Il treno è stato tappezzato con la scritta “il Kosovo è serbo”, tradotta in una ventina di lingue, tra cui anche l’albanese. Così da rendere il significato ben visibile agli scomodi vicini di casa.

Il messaggio di Belgrado non è stato gradito al Presidente del Kosovo Hashim Thaci che ha deciso di schierare le truppe di Stato per bloccare il treno alla frontiera. Il Primo Ministro kosovaro ha dichiarato che il treno rappresenta “un messaggio di occupazione” e non è accettabile per la popolazione kosovara. Dall’altra parte, a Belgrado, il blocco del treno da parte delle forze kosovare è stato interpretato come un atto di guerra. Il Presidente serbo Tomislav Nikolic ha infatti così dichiarato alla BBC: “Ieri siamo stati sull’orlo del conflitto”. La pericolosità della situazione è stata percepita anche a Mosca, dove il Ministro degli Affari Esteri Sergei Lavrov ha affermato, come riportato dalla Reuters, che: “Le tensioni nei Balcani stanno aumentando gravemente e che l’Unione europea deve contribuire ad una riduzione dell’escalation. Le forze albanesi non devono comunque essere presenti nelle zone settentrionali del Kosovo abitate dai serbi”. La Russia ribadisce così la sua vicinanza alla nazione serba, contro un pericoloso espansionismo musulmano nei Balcani che potrebbe infiammare l’indipendentismo ceceno. Più povera di contenuti è stata invece la replica dell’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri Federica Mogherini che si è limitata a esprimere “preoccupazione per la situazione”.

Ambigua rimane dunque la posizione di Bruxelles che mette sul piatto della bilancia la richiesta di adesione all’Ue da parte della Serbia e del Kosovo. Un nodo difficile da sciogliere considerato che la Serbia ha sempre posto come condizione di adesione l’esclusione dei colleghi kosovari da qualsiasi candidatura ufficiale. O noi o loro, in sostanza. L’Europa si trova così nella stessa situazione di impasse politica degli anni ‘90. Una condizione di subalternità che vent’anni fa portò gli Stati Uniti a recitare il ruolo di protagonista in una zona geopoliticamente fondamentale per l’Europa. In questo modo la pax americana fece ovviamente gli interessi di Washington, favorendo la comunità musulmano-albanese in funzione di un avvicinamento diplomatico alla Turchia. L’assetto voluto dagli Stati Uniti oltre che essere instabile ha portato alla creazione di vere e proprie scuole di jihadismo nel Kosovo indipendente, a due passi dal resto dell’Europa.

È dunque necessario che Bruxelles stili un’agenda condivisa e autonoma per gestire eventuali ricadute conflittuali nei Balcani.

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