da Roma
Forse nessun politico italiano di oggi è riuscito a stabilire un rapporto di complicità con il cinema come Giulio Andreotti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, con delega allo Spettacolo, dal marzo 1947 al settembre 1953. Un lungo periodo, durante il quale egli non si limitò a fare il questurino-netturbino del comune senso del pudore, lesto a censurare scene di ginnastica femminile, con ragazze in sottoveste (è il caso di Terza liceo di Luciano Emmer) o una scena di intimità tra Silvana Pampanini e Sophia Loren ne La tratta delle bianche (Luigi Comencini, 1952) o qualsiasi allusione a Mussolini e al fascismo, nei documentari e nei film postbellici (privati sia delle scene di devoto fanatismo sia di quelle girate a Piazzale Loreto, con vilipendio di cadavere). Eppure, non solo da qualche anno è consuetudine veicolare, di Andreotti, limmagine del diabolico tenutario di chissà quali e quanti ineffabili segreti di Stato, ma nessuno, finora, si è preso la briga di andarlo a intervistare, di chiedergli, insomma, direttamente e semplicemente, comè nella tradizione giornalistica e storiografica, testimonianza personale del proprio excursus politico allombra delle pellicole in fiore. «Facile fare Il Divo!», commenta in proposito Tatti Sanguineti, lo storico del cinema darea marxista, che invece ha nel cassetto 42 ore dintervista filmata al senatore, frutto di due anni di riprese documentali, effettuate nello studio privato di Andreotti, a Piazza San Lorenzo in Lucina, col sostegno economico dei Beni Culturali e con lappoggio logistico dellIstituto Luce (budget: 84mila euro). E mentre Gian Luigi Rondi annuncia, allinterno del Festival Internazionale di Roma, una retrospettiva del cinema italiano classe 1948, anno cruciale per la ricostruzione della storia patria, è giunto il momento di trasmettere unaltra visione del «divo Giulio», oltre quella torbida e allusiva del celebrato film di Sorrentino («Una mascalzonata!», notò Andreotti). Ma che cosa emerge da quella zona della vita cui luomo politico stesso totalmente apparteneva, nellirripetibile periodo duna vicenda nazionale, che gli Americani vincitori avrebbero riscritto a modo loro, con tabula rasa istantanea dellindustria cinematografica nostrana? Quali sono gli estratti più evocativi duna singolare cinebiografia, tra turbamenti amorosi per le dive in camicia bruna (da Martha Eggerth a Marika Roekk) e partenze ufficiali per il Lido, con un Alcide De Gasperi pronto a esortare, prima della prima Mostra: «Giulio, portati tua moglie e non fare il frivolo» (e Andreotti dormirà in questura, a Palazzo Labia)? «Fanfani fece le case, Andreotti fece girare Totò cerca casa e favorì la ricostruzione di unindustria popolare da lui amatissima», spiega Sanguineti, a quattro anni dalla fine delle riprese, rammaricandosi di non poter procedere al montaggio delle interviste per mancanza di fondi. Ci sarebbe di che interrogarsi sul perché non si riesca a portare a termine unoperazione di così puntigliosa evocazione, mentre si trovano i soldi per certe discutibili operazioni commerciali. Lidea di restituire a Giulio quel che è di Giulio, in termini di impegno, serietà e amore competente per lindustria cinematografica, sullo sfondo cartolinesco di unItalia da ricostruire, a Sanguineti è venuta mentre scriveva Il cinema secondo Sonego, saggio che Adelphi manderà in libreria questinverno. «Rodolfo Sonego, capo militare del Pci e sceneggiatore di vaglia, mi rivelò che se Andreotti aveva stoppato cinque film, ne aveva fatti produrre cinquemila. E qui, mi sono incuriosito», confida al Giornale lo studioso. In particolare, colpisce il profilo azzardosamente nazionalista di un funzionario di Stato neanche trentenne, disposto, nel 1948, a ritoccare Wembley, film inglese sulla prima Olimpiade del dopoguerra, tenutasi a Londra, dove gli «italians» venivano denigrati. Andreotti (che ama Ben Hur e la Grande Guerra) bloccò il film anti-italiano, facendolo rimontare con inserti volti a contenere la ridicolizzazione dei nostri atleti. Si tratta di un clamoroso esempio di censura-tarocco a fin di bene, che dodici anni dopo avrebbe portato le Olimpiadi a Roma.
LALTRO DIVO
Decine i suoi interventi nel Dopoguerra per salvare lindustria in crisi
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