Controstorie

L'«America decaffeinata» che oggi aspira a diventare la patria del politically correct

Da sempre a rimorchio degli Usa Ottawa vuole imporre al mondo l'etica buonista. Ma c'è il trucco

Marzio G. Mian

da Toronto

Il Canada? «Una specie di America decaffeinata», diceva Ronald Reagan. Definiva i canadesi un popolo che «vive di un'invidiabile rendita geografica». Insomma, è stato a lungo facile fare i canadesi con la forza e i morti degli altri, quando era la confinante superpotenza a sobbarcarsi le responsabilità, i costi umani ed economici (anche molto odio) per difendere i valori democratici occidentali e per governare un ordine mondiale. A Washington per decenni quella simpatica foglia d'acero dei cugini è sembrata una foglia di fico per coprire le molte contraddizioni di un Paese che esibiva una politica pacifista, ospitava i disertori del Vietnam, ma stava al sicuro sotto l'ombrello dei missili dei cow boy; si permetteva un welfare scandinavo salvo poi sconfinare negli ospedali del Michigan per le operazioni più delicate.

Improvvisamente, ora che gli Stati Uniti stanno facendo un passo indietro nel mondo e presentano il conto agli alleati Nato, ora che l'amministrazione Trump imbocca politiche protezioniste e straccia accordi commerciali come quelli tanto favorevoli a Ottawa, ecco che il Canada sente che è scoccata la sua ora. Non sarà proprio un secolo canadese a succedere a quello americano, ma l'ambizione è notevole a sentire la ministra degli Esteri Chrystia Freeland che recentemente ha pronunciato un discorso solenne alla Camera dei Comuni, annunciando la svolta epocale del suo governo liberal-liberale guidato da Justin Trudeau, premier da red carpet, molto mediatico, corretto e di bell'aspetto, un politico che piace alla gente che piace: «L'ordine mondiale americano sta finendo, gli Stati Uniti non intendono più continuare ad assumere il ruolo di leader morale», ha premesso la ministra senza mai nominare Donald Trump. «Non possiamo più continuare a essere uno Stato satellite, a contare solo sulla nostra geografia. È arrivato il momento in cui il Canada riveda e rafforzi il suo ruolo nel mondo, senza abbandonare la sua natura multilateralista».

Un reset geostrategico che arriva subito dopo quello di Angela Merkel all'indomani del G7 di Taormina (e di certe dichiarazioni antitedesche di Trump) quando ha affermato «dobbiamo riprendere il destino nelle nostre mani». La ministra canadese è andata oltre: «Dobbiamo promuovere i nostri valori», ha detto. Quali valori? Toccherà al Canada raccogliere il testimone Usa ed esportare la democrazia? «Prima di tutto il femminismo, il diritto alla riproduzione e all'aborto. Questo sarà il perno della nostra politica estera, saremo il riferimento del femminismo internazionale, della parità di genere, modello della società plurale e inclusiva», ha promesso la signora Freeland, in sintonia con Trudeau che si proclama prima di tutto un «premier femminista», l'ha fatto anche alla Camera a Roma davanti a una estasiata Laura Boldrini.

Sarà tuttavia una policy femminista molto virile, perché il governo annuncia nel contempo una svolta nella politica militare: «Siamo noti per le nostre buone maniere, ora ci doteremo anche di muscoli, si chiama hard power», ha detto la Freeland. Quando Trump ha imposto agli alleati Nato di contribuire alla cassa con non meno del due per cento del Pil, si riferiva soprattutto al Canada, al 23esimo posto tra i 28 per versamenti. Ecco che ora Ottawa decide di aumentare le spese militari di quasi otto miliardi di dollari l'anno, 32 miliardi entro il 2015, puntando a rinnovare sia la flotta aerea (88 nuovi caccia) sia navale, oltre che a costruire nuovi centri comunicazione e logistici soprattutto nella regione artica. In attesa di rinegoziare in agosto il trattato Nafta con Messico e Stati Uniti (Trump ha accusato Ottawa di «concorrenza vergognosa» nell'esportazione di latte e legname da costruzione e ha invitato a comprare prodotti Made in America) il «nuovo Canada» vuole rappresentare la parte pulita ed etica del Nord America, marcando la propria diversità in tema d'immigrazione e lotta al riscaldamento globale rispetto al disimpegno di Washington. La centrale operativa dell'anti populismo è l'Ottawa Global Center of Pluralism, finanziato dall'Aga Khan e ispirato dal ghanese ex Segretario generale dell'Onu Kofi Annan il quale ha indicato il Canada nel «santuario dei diritti delle minoranze». «L'Europa sulla questione rifugiati deve imparare dal Canada», ha detto, «è vergognoso che un continente di 500 milioni di abitanti non ritenga normale accogliere un milione di immigrati l'anno».

L'uscita degli Stati Uniti dagli accordi di Parigi sul clima ha offerto al governo canadese un'opportunità per aspirare al ruolo di Paese riferimento nella lotta al riscaldamento globale e all'uso dei combustibili fossili. Ma l'aitante e cool Trudeau ha le carte in regola per guidare la coalizione dei buoni, giusti e verdi? Il Guardian giornale tra i più duri con Trump pensa che Trudeau sia il leader internazionale più ipocrita in tema di ambiente e definisce il Canada «un disastro per il Pianeta, nonostante conti solo 36 milioni di abitanti». Intanto il quotidiano britannico sottolinea come il premier - appena uscito di scena il responsabile del blocco della pipeline Keystone XL, cioè il suo amico Obama (i due si sono appena incontrati a Toronto per lanciare un centro per la formazione dei leader del futuro) abbia immediatamente dato l'ok a Trump per la costruzione della TransCanada che dall'Alberta porterà il greggio negli Usa. Cita poi un intervento del premier davanti ai petrolieri di Houston dove afferma, ammiccante e sprezzante, in stile macho texano: «Trovo 173 miliardi di barili di petrolio sottoterra e secondo voi dovrei lasciarli al loro posto?». Standing ovation e ordini d'investimento a raffica negli impianti d'estrazione canadesi. Si tratta di sabbie bituminose, una delle trasformazioni più inquinanti. Il Guardian ha fatto il calcolo che lo sfruttamento del petrolio canadese genererebbe esattamente quel 30 per cento di anidride carbonica che ci porterebbe a superare i 1.5 gradi di riscaldamento limite fissati a Parigi.

Una soglia voluta proprio dal bel Justin Trudeau.

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