A un certo punto l’America riscopre l’America: conta chi sei, non quanti soldi hai. I dollari sono il traguardo non la partenza. Si parte dal basso per diventare qualcuno. Si comincia da zero. La facce del midterm resteranno quelle di John Boehner e di Marco Rubio. Il figlio di un barista cresciuto con undici fratelli in un sobborgo di Cincinnati e il figlio di due immigrati scappati da Cuba. Il signore che racconta con orgoglio di aver fatto le scuole serali e di aver lavorato da studente per arrivare alla laurea in Legge e il ragazzo che per iscriversi a Giurisprudenza ha usato una borsa di studio da giocatore di football. Bisogna conoscere la polvere per apprezzare le stelle. Bisogna sapere chi sono gli elettori per convincerli di essere quelli giusti. Boehner e Rubio sono un altro sogno americano: quello che arriva a sessant’anni o a trentanove. Quello che ti spinge a crederci anche se sei un parvenu. Attraverso Boehner e Rubio le elezioni di midterm consegnano al Paese la sua identità più vera: l’idea che l’America sia stata e sia ancora la terra dei self made men, quelli che possono perché ci credono, quelli che sfruttano l’opportunità che hanno. Il basso può diventare alto, sempre. Il contrario no. Allora ecco lo schiaffo a chi crede che le elezioni negli Stati Uniti si vincano soltanto se hai più soldi. In America, adesso, c’è una banda di miliardari che sperava di entrare ed è rimasta fuori nonostante i milioni che ha speso, nonostante la storia da vincente che poteva raccontare. Piace chi riesce, certo. Ma evidentemente non chi parte da una posizione troppo facile. Perché se sei come Nancy Pelosi puoi tenerti il tuo seggio di San Francisco, ma non arriverai alla pancia della gente: l’ex speaker della Camera è nata ricca e da ricca ha sempre vissuto. Che cosa può raccontare? Quanto fosse dura fare le scuole d’élite a Baltimora? Pelosi è l’opposto di Boehner: due Americhe che non si parlano. Il Paese ha scelto quella di del figlio del barista arrivato alla terza poltrona più importante d’America.
Non è tempo per miliardari, questo. La certezza arriva dal fatto che nell’onda conservatrice che ha travolto Washington e molti Stati, ci sono repubblicani che hanno perso e che fanno parte tutti dello stesso identikit: ex manager ricchissimi che cercavano la strada politica per darsi una nuova vita. Giù, tutti. Falliti uno per uno. A cominciare da Meg Whitman, l’ex ceo di eBay che ha investito 175 milioni di dollari, un decimo della sua ricchezza personale, per finire battuta, con 13 punti di scarto, nel duello per la poltrona di governatore della California dal democratico Jerry Brown. «Io la facevo perdere solo per 80 milioni», ha scherzato, inclemente, uno stratega elettorale intervistato alla Cnn.
Secondo i dati pubblicati dal Center for Responsive Politics solo due dei dieci candidati paperoni alla fine sono stati eletti. Tra i bocciati c’è anche Linda McMahon, ex ceo di World Wrestling Entertainment che ha speso 47 milioni di dollari suoi per la sua fallimentare campagna per il Senato in Connecticut. O, sempre nella California che, in controtendenza rispetto al resto del paese ha confermato la fiducia ai democratici, Carly Fiorina, l’ex ceo di Hewlett-Packard che ha perso 5,5 milioni delle sue fortune e il duello con la senatrice democratica Barbara Boxer. Sconfitti anche il magnate dell’acciaio, John Raese e il palazzinaro Carl Paladino, come ha ricordato il Sole 24 ore.
«Candidati ricchi siate avvisati: sembra che nella maggioranza dei casi i soldi non possano comprare la felicità politica», ha scritto ieri il Washington Post. L’America tra l’altro lo sapeva: le storie di Ross Perot e di Steve Forbes avrebbero dovuto insegnare qualcosa. Invece no. La carica dei miliardari ha cercato di convincere il Paese e ha perso. Perché se deve scegliere, l’America non sta con uno che non sa cosa significhi la difficoltà: certo fa eccezione Michael Bloomberg che ha speso 108 milioni per ottenere un terzo mandato da sindaco di New York. E non fa parte dei perdenti anche Ron Johnson, l’uomo d’affari che ha speso 8,2 milioni di dollari suoi per strappare il seggio del Senato del Wisconsin del democratico Russ Feingold, un veterano del Senato che si è sempre battuto per limitare l’influenza del denaro sulle campagna elettorali. L’ironia della sorte aumenta la sensazione che Johnson quest’anno sia solo l’eccezione che conferma la regola.
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