L’America rivendichi il diritto alla sacralità di Ground Zero

Sembra un po’ strano, almeno a prima vista, che tocchi all’Europa cominciare un nuovo ciclo storico: difendere l’America dai suoi stessi errori. Eppure questo momento è arrivato. Ci siamo accorti delle debolezze, e delle conseguenti gravissime ripercussioni negative, del sistema americano di gestione delle «differenze» - differenze etniche, religiose, culturali - perché dalla fine della Seconda guerra mondiale le abbiamo adottate anche noi, e la legislazione europea, con le sue norme antirazzismo, antixenofobia, ne è piena.
Fino a qualche anno fa, quasi tutti abbiamo pensato, soprattutto in Italia, che i gravi problemi che ci siamo trovati ad affrontare tutti i giorni per rispettare questa legislazione, copiata dall’America, fossero dovuti al fatto che siamo troppi in un territorio immensamente più piccolo di quello americano, ma soprattutto che è colpa nostra se siamo insofferenti davanti alla pressione di religioni e di costumi diversi dai nostri. Siccome tuttavia non è nello spirito delle nazioni europee fermarsi alle situazioni empiriche, la filosofia, la psicologia, l’antropologia hanno già da parecchio tempo ricominciato a riflettere in profondità sui significati delle diverse civiltà, sugli itinerari della storia, su che cosa conti davvero per gli uomini, per il loro «essere nel mondo», di là da un tranquillo tran tran quotidiano. È questa coscienza che finalmente sta dando di nuovo valore di vita ai popoli d’Europa, schiacciati dal lungo periodo di smarrimento del secondo dopoguerra, ed è questa coscienza che adesso può e deve parlare anche all’America per esortarla ad alzare alta la voce contro qualsiasi tentativo di sopraffare e cancellare la memoria dell’attacco e dei morti a Ground Zero.
Sono morti che appartengono a tutto l’Occidente, a tutto il mondo civile, e dunque all’Europa, all’Italia soprattutto, culla dei maggiori giuristi, di coloro che per primi hanno elaborato le norme del diritto anche nei confronti dei nemici, sia in pace sia in guerra.
L’attacco alle Torri Gemelle ha segnato l’irruzione in questa civiltà di una mentalità, di un mondo che le è alieno e, per quanto dispiaccia dirlo, quest’assoluta differenza culturale si dimostra anche nell’aver ideato di costruire una moschea in un luogo che i musulmani dovrebbero essere i primi a rispettare. Il fatto stesso di voler collocare proprio lì un edificio simbolo della loro presenza testimonia, più che della loro insensibilità nei confronti del dolore dell’America, di un’implicita ma ben chiara volontà di predominio e di vittoria.
In quale altro modo, del resto, interpretare questa pretesa? È in base a questa più che evidente constatazione che gli americani devono rivendicare il loro diritto alla «sacralità» di Ground Zero, e naturalmente di tutto lo spazio che lo circonda, in base alle regole non scritte del Sacro che vigono da sempre, in ogni tempo e in ogni cultura. Si tratta di regole, del resto, che i musulmani, fedelissimi ai precetti della purità e della contaminazione, conoscono molto bene.
L’Italia però ha qualcos’altro da aggiungere, nell’esortare gli americani a non cedere: gli italiani sono andati fin dall’inizio a fianco degli americani a combattere contro il terrorismo, colpiti forse più che gli altri popoli d’Europa dall’orrore di un assalto così proditorio contro civili innocenti.

Molti italiani sono ancora presenti in tante zone di questa guerra così difficile e penosa, e molti dei nostri ragazzi vi sono morti. Noi non permetteremo che la loro memoria sia offesa, per nessun motivo, e non permetteremo neanche all’America di dimenticarsi che ha il dovere di difenderla.

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