Chi pensasse davvero che la Corte Costituzionale potrebbe venir intimidita dall'Avvocatura dello Stato, la quale ha ipotizzato, nel caso di abrogazione del Lodo Alfano, una possibile difficoltà del governo, fino ad eventuali dimissioni, sbaglierebbe per due volte.
Per un verso, perché riterrebbe che i giudici in genere, e quelli della Consulta in particolare, sono impressionabili dalle osservazioni che leggono sulle comparse o sulle memorie degli avvocati difensori: i giudici in realtà non si impressionano né si intimidiscono mai.
Non v’è ragione allora di ritenere che dovrebbero impressionarsi quelli della Corte Costituzionale, i quali, contro questo genere di deprecabili suggestioni, sono vaccinati non solo per la lunga militanza di ciascuno nel mondo del diritto, ma anche per la consapevolezza dell’incarico e della funzione che sono chiamati a svolgere.
Per altro verso, chi, leggendo la memoria dell’Avvocatura dello Stato, parla di possibile intimidazione ai giudici non sa, letteralmente, di cosa sta parlando.
Da che mondo è mondo, infatti, ogni avvocato difensore ha il preciso compito di prospettare al giudice davanti al quale si svolge la causa quali potrebbero essere gli effetti concreti di una decisione piuttosto che di un’altra.
Per fare un esempio, se un Tribunale condannasse un quotidiano, accusato di diffamazione a mezzo stampa, ad un risarcimento di cinque milioni di euro a favore del querelante (a volte le richieste sono di questo tipo), ebbene, l'effetto pratico di una tale sentenza, che in primo grado è già provvisoriamente esecutiva, sarebbe quello di condurre di filato alla messa in liquidazione del giornale, alla sua chiusura, al licenziamento in tronco di un centinaio di dipendenti, al disastro per tutte le loro famiglie, alla soppressione di una libera voce di critica e informazione.
In questo caso, il difensore non ha soltanto il diritto, ma perfino il dovere di ricordare al Tribunale come, pur anco in caso di condanna, la misura del risarcimento vada necessariamente contenuta nei limiti di sopportabilità economica, che vanno valutati non certo in astratto, ma in concreto, parametrandoli cioè alle reali condizioni patrimoniali e finanziarie di quel quotidiano, oltre che, naturalmente, alla reale entità del danno patito dal querelante.
Par far ciò, vale a dire per difendere le ragioni del suo assistito, il quale potrà certo essere condannato, ma non certo soppresso civilmente ed economicamente, il difensore deve prospettare dunque al Tribunale quali potrebbero essere gli effetti pratici e devastanti di una condanna che eccedesse i limiti di tollerabilità concretamente sopportabili.
E chi si sentirebbe di dire che in casi come questo il difensore stia addirittura “intimidendo” il Tribunale?
Chi insiste a ripetere questa colossale amenità non comprende nulla del diritto, pensa forse che esso si collochi nell’iperuranio platonico e che di tanto in tanto sdegnosamente possa sbirciare da quelle rarefatte atmosfere verso la terra, ove gli uomini si affaticano brulicando ad evitarne le sanzioni.
Non è così: il diritto è scienza della pratica e perciò deve tener conto di tutte le conseguenze concrete che possano derivare da una sentenza che, appunto, viene pronunciata nel nome del diritto.
In questa prospettiva, se l’Avvocatura dello Stato ricorda alla Consulta come, in caso di abrogazione per illegittimità del Lodo Alfano, ne potrebbe derivare uno scossone alla saldezza dei ruoli di governo dello Stato, non fa che il suo dovere di difensore; ed anzi, verrebbe meno a questo dovere, incorrendo perfino in una negligenza difensiva censurabile in sede deontologica, se omettesse di farlo.
Ed allora perché questo strepito? Perché queste polemiche? Forse la
risposta è ancora, purtroppo, quella che oltre un ventennio fa si dava circa vicende similari Leonardo Sciascia: ed è che in Italia è tragicamente assente il senso del diritto.E per farlo sbocciare, ce ne vorrà di tempo!
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