L’analisi Ratzinger e la priorità di unire la Chiesa

Parla con l’umiltà del servo dei servi di Dio, ammette che «portata e limiti» del provvedimento di revoca della scomunica ai vescovi lefebvriani non sono stati illustrati «in modo sufficientemente chiaro». Assicura che d’ora in avanti la Santa Sede presterà più attenzione alle informazioni che circolano su internet, dove la notizia dell’intervista a Williamson era presente prima della pubblicazione del decreto sulla scomunica. Ma non cela tutta la sua amarezza per le strumentalizzazioni e i travisamenti, che hanno snaturato un atto di riconciliazione facendolo passare per un atto di rottura.

La lettera umile e forte di Benedetto XVI giunta in queste ore nelle mani di tutti i vescovi cattolici, è un documento inusuale, che lascia trasparire quanto Ratzinger abbia sofferto soprattutto per le critiche feroci interne alla stessa Chiesa, anche da parte di alcuni vescovi. Con profonda onestà, il Papa riconosce che vi sono stati problemi di regia e di comunicazione. Il decreto di revoca andava adeguatamente spiegato, ma, da quanto ha potuto ricostruire il Giornale, la decisione di non presentarlo alla stampa venne presa durante una riunione tenutasi in Vaticano nel pomeriggio del 22 gennaio, alla quale partecipavano i vertici della Segreteria di Stato insieme ai cardinali coinvolti a vario titolo nella revoca, che giudicarono il decreto stesso sufficientemente chiaro.

L’intervista negazionista di Williamson, diffusa quasi in coincidenza con la revoca della scomunica, ha prestato il fianco a strumentalizzazioni e Benedetto XVI, il Papa teologo che ha molto approfondito proprio lo speciale legame che unisce i cristiani alla loro radice ebraica, è stato accusato di voler cambiare rotta rispetto a quanto stabilito dal Concilio in rapporto al popolo d’Israele. Il ritiro della grave pena canonica è stato fatto passare, da chi è interessato a creare divisione o a fare pressioni sulla Chiesa, per acquiescenza verso le tesi negazioniste del presule lefebvriano. Nella lettera ringrazia gli ebrei che lo hanno aiutato a superare il malinteso. Ad aver colpito particolarmente il pontefice non sono state tanto le critiche provenienti dall’esterno, quanto piuttosto l’«ostilità» proveniente dagli ambienti ecclesiali.

Ecco dunque lo scopo della missiva: contribuire alla pace nella Chiesa, spiegando il vero significato della revoca della scomunica e lo stato della questione con i lefebvriani. Benedetto XVI, in un mondo che ha allontanato Dio dal suo orizzonte, vuole testimoniare il suo volto, svelato da Gesù Cristo. L’unità tra i credenti è importante per questa testimonianza, la priorità per Papa Ratzinger è quella di favorire questa unità, di ricucire gli strappi, di tendere la mano, di compiere gesti di misericordia, di includere e non di escludere. La revoca della scomunica, chiarisce allo stesso tempo il pontefice, non ha risolto i problemi, è solo un primo passo per facilitare il dialogo: vescovi e preti lefebvriani non avranno alcun ruolo nella Chiesa se continueranno a rifiutare il Concilio. Proprio per questo, nella lettera Benedetto XVI annuncia che la commissione «Ecclesia Dei», destinata al recupero alla piena comunione cattolica della Fraternità San Pio X, sarà in futuro collegata alla Congregazione per la dottrina della fede.



La chiave di lettura adeguata per comprendere documento papale si può ritrovare nelle parole che lo stesso Ratzinger ha pronunciato ieri mattina, durante l’udienza generale, quando ha invitato ad «amare appassionatamente la Chiesa, a sentirci corresponsabili del suo futuro, a cercarne l’unità attorno al successore di Pietro». Uno sguardo e uno spirito che è spesso mancato negli interventi critici rivolti al vescovo di Roma da alcuni confratelli.

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