L’Arabia fa muro contro Al Qaida E chiede ai Bin Laden di costruirlo

Sarà lungo 900 chilometri, segnerà il confine con l’Irak, costerà più di un miliardo di dollari. Motivo: «Abbiamo paura dei terroristi»

Diventerà un appartamento. 435 chilometri quadrati, su due livelli, completamente ristrutturati. Con tre muri maestri per evitare altri bagni di sangue. Il nuovo Irak sarà un appartamento, in pieno centro, Medio Oriente, con più o meno venti milioni di inquilini. Murati vivi. Il primo muro segnerà il confine con la Turchia, il secondo difenderà la frontiera con l’Arabia Saudita, il terzo dividerà i sunniti dagli sciiti alla periferia di Bagdad, nuova Berlino del terzo Millennio. A conti fatti, alla fine dei lavori, i muri iracheni saranno sei contando i tre già costruiti: quello di al Adamiyah, quartiere sunnita nel centro di Bagdad, quello che circonda la Zona verde della capitale e il fossato, ormai quasi pronto, che divide la provincia sciita di Kerbala da quella sunnita di al Anbar, nella parte centro-occidentale di un Paese che diventa labirinto anche fisicamente da dove uscire è impossibile ed entrare sempre più difficile.
Sarà che sono abituati così ma chi fa le cose in grande è soprattutto l’Arabia Saudita. Il progetto base sono 900 chilometri di filo spinato su due linee sorvegliate da migliaia di guardie di confine attraverso radar e apparecchiature a raggi infrarossi. Poi si vedrà. Il ministro degli Interni ha già lanciato la prima gara pubblica per aggiudicare i lavori, costo più di un miliardo di dollari. La famiglia reale vuole bloccare l’ingresso degli ultrà islamisti, e ha il sacro terrore, scrive il quotidiano Arab News, «che la situazione irachena possa contagiare il regno saudita con la violenza settaria e il terrorismo». La cosa che fa ridere però è che l’azienda favorita per ottenere l’appalto del muro che dovrà difendere l’Arabia da Al Qaida è la «Bin Laden Group», di proprietà della famiglia di Osama, che è una delle principali ditte di costruzioni del regno saudita. Che è come dire un pizzo.
Anche i turchi non badano a spese. Il quotidiano palestinese al Quds al Arabi spiega che il loro muro in cemento armato, sul modello di quello di Berlino, «sarà lungo 473 chilometri e costerà 3,2 miliardi di dollari». Separerà la Turchia dalla provincia del Kurdistan iracheno con un solo obiettivo dichiarato: «Evitare le infiltrazioni dei combattenti separatisti del Pkk», nemico giurato di Ankara. Quello di Bagdad invece, due chilometri appena tra il quartiere di al Gazaliyah, sunnita, e quello di al Shaab, sciita, a nord-ovest della capitale, ha già scatenato proteste di piazza: «Migliaia di cittadini sunniti e sciiti, uniti» scrive al Sharq al Awsat, hanno manifestato contro. Dicono aiuti Al Qaida invece di fermarla. Ma è difficile che qualcuno li ascolti. Sarà che i tempi sono questi ma il nuovo mondo globalizzato ha paura di tutto e si difende come può. Nel pianeta telematico passa di tutto, capitali economici, minacce terroristiche, assalti cibernetici, blog su blog, trash and love, senza filtro e senza controllo. Ma gli uomini no. Gli uomini fanno paura.
Per questo moltiplicare i muri è diventato trendy. C’è quello di sicurezza tra Israele e Palestina che penetra in profondità la Cisgiordania, 700 chilometri di lunghezza, cinque milioni di dollari di costo al chilometro. A Gerusalemme una barriera di cemento armato alta 8 metri, il doppio del muro di Berlino, circonda la Città santa e l’anello di colonie costruite attorno, solo 12 varchi per entrare in città. Brutti ma efficaci. Di certo il flusso di kamikaze non è più quello di una volta. C’è quello tra India e Bangladesh, una cortina di ferro lunga 4mila chilometri, con 45mila soldati indiani spiegati; quello tra Spagna e Marocco, una barriera metallica doppia intorno alle città di Ceuta e Melilla, che respinge un ariete di migliaia di clandestini, al ritmo di 7mili arrivi l’anno. E c’è quello che dal 1953 divide la Corea del nord comunista dalla Corea del sud all’altezza del 38esimo parallelo.

Persino gli Usa ne vogliono costruire uno, 1.948 milioni di dollari, 595 chilometri sorvegliati da telecamere, riflettori e 6mila agenti armati, per tenere alla larga i messicani. Qui il terrorismo non c’entra. È la paura che passa dappertutto.

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