Cultura e Spettacoli

L’arte contemporanea? Un misterioso affare

Arte contemporanea: questa misteriosa sconosciuta. Quasi una straniera che un po’ affascina, un po’ se la tira e alla fine, tirandosela, annoia. Tranne che portarsela a braccetto comunque è chic e garantisce anche un bel ritorno nel portafoglio.
Ecco, più o meno, l’immagine, prelevata dritta dritta dalla mente degli italiani, che esce dal rapporto presentato ieri alla Triennale di Milano dall’«Osservatorio Terna sull’arte contemporanea». Si tratta di un corposo rilevamento statistico affidato all’Ispo (l’istituto per studi sulla pubblica opinione di Renato Mannheimer) e compiuto su un campione di un migliaio di nostri concittadini, selezionati per essere rappresentativi di tutti gli strati, i ceti, i censi e gli umori della società italiana. Ma veniamo ai numeri esposti da Mannheimer a esperti del settore e giornalisti. Il dato grezzo di partenza è tristanzuolo. L’arte non è proprio al centro dei nostri cuori: interessa «abbastanza» al 23% degli italiani, molto al 4% dei medesimi. Considerando che siamo il Paese di Leonardo, Raffaello, Caravaggio e di qualche centinaio di altri geni... Sull’arte contemporanea i numeri poi precipitano: interessa al 9% della popolazione. Ma quelli che l’hanno veramente a cuore sono solo l’1%. E forse ha ragione Mannheimer quando dice, anche per rassicurare gli esperti del settore e chi ci investe (come Terna), che «parliamo comunque di milioni di persone» e, quindi, non è il caso di fasciarci la testa né sul nostro livello culturale né sul rapporto tra artisti e pubblico. Il problema è, semmai, che l’interesse relativo a pittori, scultori e performer del nostro tempo è crollato verticalmente dal 2008 ad oggi.
Solo due anni fa a dirsi «abbastanza» interessati all’arte contemporanea erano il 18% degli italiani. A cosa è dovuta la picchiata?
In Triennale se ne è discusso molto. Mannheimer vede il problema principale nella crisi che, oltre a bruciare risorse economiche, brucia anche risorse spirituali. E ci aggiunge anche qualche responsabilità dei galleristi: «Signori cari, solo il 46% di coloro che sono interessati all’arte di oggi vengono a vederla in galleria, significa che le gallerie dovrebbero praticare molto di più una politica delle porte aperte». Davide Rampello, il presidente della Triennale, ha invece scontentato un po’ le croniste televisive che lo assediavano. Per lui la crisi c’entra poco, l’omologazione dei gusti prodotta dai tubi catodici già di più.
Continuando a scorrere i moltissimi dati statistici forniti dall’Ispo si potrebbe, però, arrivare alla conclusione che galleristi e trasmissioni da prime time della disaffezione verso la creatività non siano responsabili. Ad esempio, che succede quando si pone agli intervistati la fatidica domanda: «Chi crea arte contemporanea: veri e propri artisti o solamente star?».
Il campione praticamente si spacca in due. Esclusi i pochissimi «non so», il 50% trova che la principale caratteristica di Cattelan & company sia quella di essere famosi (da quel punto in poi a tutto quello che fanno viene appiccicato il cartellino del capolavoro). Quando poi si chiede «Arte contemporanea: moda passeggera o vera e propria arte?» ben il 41% per cento non ha dubbi: si tratta di un fenomeno molto più legato alla moda che a veri e propri canoni stilistici. Insomma, tra la gente (anche colta) e gli artisti si sta aprendo uno iato sempre più grande, uno iato legato alla comprensione. Persino il 25% di chi generalmente apprezza pittura e scultura ritiene incomprensibili le opere dei contemporanei (e magari facendo un po’ di confusione tra i contemporanei ci infila anche i cubisti).
E dove c’è una controtendenza, un riavvicinamento, ad innescarlo è una questione di difesa del salvadanaio più che di profondi moti dello spirito, innescati dalla contemplazione. Per il 19% degli intervistati (in proiezione equivalenti a circa 9,5 milioni di italiani) l’acquisto di un pezzo viene visto come un buon investimento. La percentuale sale al 41% tra quelli che hanno interesse e conoscenze in materia. Se le azioni vanno male e i Buoni del tesoro sono a rischio Grecia, un murale di Bansky continua ad essere una garanzia (sin che la moda tiene). E poi, diciamolo, comunque la componente della vanità, anche in un’epoca di vacche magre, tiene ancora: più di un terzo di coloro a cui è stato chiesto se chi acquista oggetti d’arte contemporanea lo fa più che altro per sentirsi alla moda, ha assentito. Poi, però, la percentuale di chi acquista davvero è piccolissima. E su questo ha le idee chiare Claudio Palmigiano di «Acacia» (Associazione degli amici dell’arte contemporanea): «Il mercato tira, ma coinvolge pochissime persone perché i prezzi sono saliti, una volta il contemporaneo era accessibile, almeno come prezzi, adesso...». Tirando le fila: sculture, quadri, video di performer sono beni rifugio sempre più inaccessibili e incomprensibili. Cambierà? Terna (azienda che vive di energia ma ama l’arte) fa il possibile. Oltre ad attivare l’osservatorio ha istituito un premio (Il Premio Terna, giunto alla terza edizione) che cerca di avvicinare creativi, giovani e meno giovani, alle persone. Come ha spiegato il presidente Luigi Roth: «Investiamo sull’idea del bello». Ci prova anche la Triennale aprendo i suoi spazi. Ma se è vero che alla comprensione di un’opera bisogna essere educati è anche vero che l’artista deve pensare anche che tipo di pubblico vuole avere. Se non trasmette concetti comprensibili diventa un sacerdote egizio che custodisce astrusi geroglifici. E da lì a diventare una mummia..

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