L’arte del vecchio rais che ha ammutolito tutte le opposizioni

Nell’Egitto del dopo Mubarak non c’è un’opposizione pronta a imporsi sulla scena politica. Le sempre più frequenti manifestazioni antigovernative nelle strade del Cairo non fanno perdere il sonno al rais malato. L’opposizione interna è infatti divisa, debole e disorientata.
«L’abilità del regime di reprimere con impunità è, in parte, il risultato del misero stato dei molti gruppi di opposizione nazionale, la cui perpetua incapacità di andare d’accordo fra loro confonde gli osservatori», ha scritto Foreign Policy. La vita politica in Egitto è limitata infatti dallo stato di emergenza in vigore dall’assassinio dell’ex presidente Anwar El Sadat nel 1981 e un emendamento della costituzione del 2007 restringe le possibilità di candidati indipendenti di presentarsi a elezioni.
Il presidente Gamal Abdel Nasser aveva annientato le opposizioni. Sadat aveva invece permesso la formazione di partiti, che avevano mobilitato vasti strati della popolazione, spiega al Giornale Hisham Kassem, fondatore del giornale indipendente Al Masri Al Youm. Poi è arrivato Mubarak, «brillante stratega della sopravvivenza politica». «Non poteva tornare al partito unico: non sarebbe piaciuto agli Stati Uniti, suoi alleati. Così è iniziato il progressivo indebolimento delle opposizioni». C’erano partiti nasseristi, socialisti, liberali, nazionalisti, laici, islamisti. «Tramite gli apparati di sicurezza che disperdevano manifestazioni e cooptando i leader dei principali gruppi, il regime negli anni ha svuotato le opposizioni». Per Kassem non è rimasto nulla dei vecchi partiti politici, dalla sinistra del Tagammu ai liberali del Wafd, se non vuoti slogan: «Ma la popolazione non è interessata a slogan, vuole cambiamenti nella quotidianità». L’opposizione di oggi è la stessa dei primi anni ’90, ma ammutolita. L’unica faccia nuova è quella dell’ex capo dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica, Mohammed El Baradei, da poco tornato nel Paese. Ma i gruppi politici e i nuovi movimenti giovanili della strada, invece di unificarsi sotto la sua leadership, hanno litigato tra loro per aggiudicarsi il suo sostegno, sgonfiando il fenomeno.
Si è sciolto presto anche il movimento che nel 2005 era sceso in piazza contro Mubarak, creando aspettative nella comunità internazionale alla vigilia delle prime elezioni multipartitiche. Kifaya, «basta» in arabo, composto da diverse sigle dell’opposizione, «è morto nel momento in cui Mubarak ha annunciato un voto aperto a tutti - spiega Kassem - “volete elezioni libere? Allora sfidatemi”, era il messaggio. Il movimento è rimasto spiazzato: non aveva tempo, mancava un progetto».
Attraverso repressioni e strategie il regime tiene a bada anche la più credibile delle opposizioni: i Fratelli musulmani, banditi ma formalmente tollerati. Alle parlamentari del 2005, hanno ottenuto il 20% dei seggi.

Un’altra mossa del rais, sotto pressione dell’America, che chiedeva più democrazia: «Ha permesso ai Fratelli musulmani di fare campagna come indipendenti, conclude Kassem -. Hanno vinto molti seggi e il presidente ha indicato il pericolo: “Se il voto è libero rischiano di vincere gli islamisti”». Subito dopo sono riprese le repressioni.

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