Soltanto un anno fa, l’Onda anomala. La Gelmini usciva dal ministero e rischiava ogni volta d’essere spazzata via. Rettori inaciditi, insegnanti incarogniti, alunni scamiciati. A qualcuno, con l’acquolina alla bocca, sembrò di vedere chiaro il grande ritorno del movimento studentesco, riattizzato da questa idea stravagante della giovane ministro di rifare i connotati alla sgangherata scuola italiana. Non dura, non resiste, non ce la fa: i book-makers della politica italiana negavano un futuro a una simile prova di cocciutaggine. Riformare la scuola: come no, già sentita, quanti ci hanno provato, tutti finiti allo stesso modo...
Dodici mesi esatti: la Gelmini non si è mossa di una virgola, l’Onda anomala viene segnalata in progressivo dissolvimento. Ma c’è qualcosa di molto più sconvolgente: la sua riforma dell’Università, che dopo l’approvazione del governo si avvia verso l’arena parlamentare, ha raccolto applausi anche dai loggionisti più accaniti del mondo accademico. Il fenomeno ha dell’incredibile: là dove bastava anche solo proferire la parola cambiamento per scatenare un inferno, stavolta si discute, si riflette, si pensa e persino si approva. Per la Gelmini, una lieta sorpresa. Una in più, che si aggiunge alle liete novità della vita privata, così da farla parlare apertamente - senza esagerare con le euforie - di ottimo momento personale. I motivi, a seguire.
Ministro, dica la verità: mettendo mano all’Università, si aspettava un simpatico clima da guerra mondiale.
«Sono sincera: non mi aspettavo le reazioni costruttive di questi giorni. Sto assistendo ad un dibattito molto intelligente. E leggo critiche positive persino sull’Espresso. Lo stesso professor Decleva, presidente dei rettori, ha parlato apertamente della riforma come di un’occasione irripetibile, da prendere al volo. Gli sono grato per l’atteggiamento che manifesta, è quello che serve».
Provi a vendere bene il prodotto: perché questa riforma è così bella?
«Dopo tanti anni, è il primo intervento strutturale, che davvero vuole cambiare un settore così vitale per il Paese. Vogliamo coniugare l’autonomia con la responsabilità degli atenei. Ma soprattutto stiamo dalla parte dei giovani, puntando tutto sulla meritocrazia».
Se la sente di giurare che mai più uno studente bravo dovrà rinunciare agli studi per mancanza di soldi?
«È uno dei punti che più ci stanno a cuore. Il diritto allo studio sarà garantito a tutti. Con borse di studio e con sostegni logistici. Dall’università devono andarsene gli scansafatiche e i perditempo, non gli studenti in gamba».
Ma perché tanta passione per questa riforma?
«È un investimento strategico per l’Italia. L’abbiamo letto in questi giorni che studiare restituisce ottimi rendimenti...».
Come vorrebbe passasse alla storia, questa riforma?
«Con questo slogan: meno università, migliori università».
Che fa, allude alla proliferazione incontrollata di corsi idioti?
«Certo che sì. Un venti per cento l’abbiamo già tagliato. Ma la potatura sarà drastica».
Chi sopravviverà?
«Lo diranno i bisogni del Paese. Scuola e università non devono più procedere per conto proprio. Devono corrispondere alle richieste vere. Inutile sfornare migliaia di laureati in scienze della comunicazione, candidati alla disoccupazione, se mancano gli ingegneri».
È vero che lei pensa più a sfornare bravi tecnici, mentre trascura un poco la formazione delle persone? Traducendo: troppa tecnologia, poco umanesimo.
«Guardi, questo lo respingo: una cosa non esclude l’altra. La formazione culturale non deve trascurare nessuna delle due dimensioni. Però è chiaro: dobbiamo tutti avere a cuore che la scuola sforni le competenze richieste nel sistema produttivo, o sbaglio?».
I princìpi sono ottimi. Ma i soldi ci sono, per tutte queste meraviglie?
«L’università sarà la prima destinataria dei soldi che rientrano con lo scudo fiscale. L’abbiamo specificato bene. La cosa veramente importante sarà evitare i soliti sperperi, ma per questo abbiamo introdotto il nuovo principio: si dà alle università migliori, si toglie a chi dorme».
Si sa come viaggiano le riforme italiane: entrano bellissime in Parlamento e ne escono deformi.
«Questa è la paura che ho. Spero vivamente che in Parlamento si colga la grande occasione. Soprattutto, che non si snaturi lo spirito così innovativo della legge. Io sono aperta a tutti i miglioramenti. Mi piacerebbe anzi che il Parlamento avesse coraggio, scegliendo una strada ancora più riformista. La vera preoccupazione è l’impaludamento, come sempre».
Ma lei si è data dei tempi?
«Si potrebbe chiudere per marzo-aprile».
Così da partire nel prossimo anno accademico con la nuova università?
«Questo il mio sogno».
Non le mancheranno gli avversari, comunque.
«In tutti gli ambienti: tra i rettori, tra i professori, tra gli studenti, nei sindacati. L’ho detto: siano i benvenuti tutti i contributi per migliorare la legge. Ma no alle sacche di resistenza che difendono solo piccoli privilegi. Ai conservatori interessati. Spero proprio che il Parlamento non si presti a questi residuati lobbistici».
Nell’attesa di cambiare l’Università, l’anno scolastico è partito senza barricate. Ricorda, un anno fa?
«Che cambiamento. I problemi ci sono, ci mancherebbe: ma siamo riusciti a cominciare in modo decoroso ovunque, persino all’Aquila. Abbiamo garantito il tempo pieno, che sembrava allora lo scandalo nazionale. Di sicuro, c’è meno tensione. Forse perché ci sono anche meno strumentalizzazioni...».
Cambiato il vento?
«Credo che tutti abbiano compreso una cosa: la scuola va rifondata. È una battaglia culturale molto nobile, che deve andare avanti. Dopo l’Università, affronteremo subito le superiori. La scuola deve tornare al centro della discussione, in Italia».
La soddisfazione più grande?
«Incontrare tanta gente che mi ringrazia per aver tentato di restituire serietà e autorevolezza alla scuola italiana».
Le avevano pronosticato un autunno caldo, si sta rivelando molto mite.
«Sì, è un ottimo periodo. Per tanti motivi».
Ce ne sono altri?
«C’è anche la mia vita privata».
Mi faccia essere indiscreto.
«Agli inizi del 2010 mi sposo».
Ovviamente con lui, Giorgio Patelli, bergamasco, geologo, imprenditore.
«Ovviamente con lui. Vivremo a Brescia. E c’è anche dell’altro».
Che altro?
«In primavera divento mamma. È una cosa bellissima».
Oltre alle felicitazioni, una domanda: s’è chiesta già come farà a essere ministro e mamma?
«È un bell’impegno.
L’idea sua: più complicato fare il ministro o la mamma?
«Molto più difficile essere una brava madre che un buon ministro».
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