L’azienda chiude per un giorno: padroni e operai insieme a Roma

L’inconsueto viaggio di un pullman azzurro da Treviso alla Capitale: l’imprenditore e i suoi dipendenti partono per la manifestazione. Con loro anche 4 manovali dell’Est: «Vi aiutiamo contro la dittatura»

Stefano Filippi

da Roma

Gli idraulici, gli elettricisti, gli operai addetti a «risanare gli interrati»; e poi l’intonacatore, il giardiniere, il fabbro, l’artigiano di porte e finestre, i manovali stranieri. E ingegneri, architetti, altri imprenditori edili come lui: Tiziano Causio li ha caricati su un pullman e portati a Roma. «Ho chiuso i cantieri, un giorno di lutto o di festa, secondo i punti di vista». Partenza alle 6,45 da Silea di Treviso, rientro a ora imprecisata nella notte, a un patto: tornare privi di voce (persa in corteo senza neppure arrivare in piazza San Giovanni) e di scorte. Tre sacchi di pane fresco di forno, otto chili di formaggi, salami, soppresse, e venti casse di prosecco. Dare fondo alle «ombre» è impresa dura ma non impossibile. Alla salute di Berlusconi, e di Prodi.
Un solo tesserato nel «pullman Causio»: è Tino Sgroi, costruttore, doppia iscrizione a Forza Italia e An («il presidente del circolo è un amico»). Niente magliette né bandiere, niente cori azzurri, unico precedente in piazza il 14 ottobre scorso alla manifestazione degli imprenditori di Treviso. Sono tutti dipendenti o professionisti legati a Causio, gente dello scalpitante Nordest, dove i tassisti ascoltano «Radio 24» («radio-schei») già all’alba. E tutti arrabbiati con il governo. L’ultimo sgarbo è in prima pagina sui giornali locali: il sottosegretario Ettore Rosato ha disertato (avvisando appena due ore prima) l’incontro con 95 sindaci della Marca sulla sicurezza.
Causio, 38 anni, moglie e una figlia, costruisce case di vacanza e alberghi in Italia e all’estero: «E se va avanti così lavorerò solo fuori». Per il costo della manodopera? «No, il lavoro costa uguale ormai dappertutto. Per le tasse. In Dubai le imposte sul valore prodotto sono zero, a Capo Verde idem, in Romania il 16 per cento, in Croazia il 32-33, da noi il 60. Ho sempre considerato i cortei un metodo un po' di sinistra. Stavolta no, anche se preferivo lo sciopero fiscale: a fine novembre niente anticipo sulle tasse, non so come avrebbero pagato stipendi e tredicesime agli statali. Il governo tratta gli imprenditori da nemici, fa terrorismo psicologico. Ci boicottano perfino i ferrovieri che scioperano proprio oggi. Ma io a Roma ci venivo anche in motorino».
Alle 7.15 la tangenziale di Mestre è quasi sgombra: «Non ho ricordi di averla vista così», mormora Causio. La Bologna del premier è superata alle 9: «Fanno bene a dire “il diavolo veste Prodi” - protesta Sergio Tronchin, consulente finanziario di Conegliano - quello ha venduto l’anima al diavolo con la seduta spiritica di Moro». Mezz’ora dopo sosta all’autogrill: «Autista, fa freddo fuori?». Cinque gradi. «Allora caffè corretto». Alla seconda tappa raduno dei pullman trevigiani, tiene banco il capogruppo regionale azzurro Remo Sernagiotto con due consiglieri Udc di Montebelluna scontenti delle giravolte di Casini. «Goti», «cicheti» e formaggio «imbriago».
Il pullman è un magma bollente di proteste. Si parla di banchieri svizzeri che si fregano le mani per il rientro dei capitali riportati in Italia da Tremonti, di Montezemolo «ricomprato da Prodi con la rottamazione auto», dei giudici «che dovrebbero pagare di tasca loro le spese dei processi annullati a Previti», del Tfr destinato all’Inps «in deficit da quand’è nato». Luigi Milesi, impresario edile di Treviso: «Troppe idee ballerine in questa maggioranza, modificano le leggi prima ancora di approvarle». Giorgio Miotto, azienda di giardini ed esterni a Sedico (Belluno): «Manca la lungimiranza, non ci sono prospettive per i giovani e noi imprenditori ci sentiamo una spada di Damocle sulla testa». Toni Genovese, palermitano da 15 anni nella Marca, piccola ditta di intonaci e pitture: «Gli stranieri chiedono quattro soldi in nero e ci rovinano il mercato». Marco Rapposelli, costruttore: «Il governo vuole solo pagamenti elettronici, e che le stampano a fare le banconote da 500 euro?». Giuseppe Pinese, azienda immobiliare: «Togliamoci la mortadella dagli occhi, colpiscono il motore produttivo d’Italia e nessuno pensa che il motore, senza benzina, non va». Mirco Possamai, azienda metalmeccanica con 250 dipendenti a Conegliano: «Sono stufo di lavorare tre mesi per me e nove per lo Stato». Enrico Sartori, architetto: «Mia figlia lavora in America e i suoi amici non riescono a spiegarsi come mai in Italia sono al potere i comunisti dopo 30 anni di un Papa polacco».
Dietro di lui, quattro facce silenziose annuiscono. Sono due manovali croati, Jozip e Cruno, e due romeni, Petrea Pitret e Ilie Lungu. «Conosciamo bene il comunismo e veniamo a Roma per aiutare voi italiani a non tornare più ai tempi delle dittature.

Da noi si viveva come in caserma, bocche cucite, cibo razionato con le tessere. Qui pensate che il comunismo sia il paradiso. Ma i controlli repressivi di Prodi sono l’inizio della vita di caserma. Fra dieci anni vi ritroverete nei guai».

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