L’«effetto trans» stravolge il Pd: Bersani sarà il nuovo segretario

RomaAltro che il temuto «effetto Marrazzo»: «Se c'è stato, ha funzionato al contrario», dice il senatore Nicola Latorre. Fin dal primo mattino, il tam tam del Pd annuncia «code ai seggi» e grande affluenza ai gazebo delle primarie per la scelta del segretario. Alla fine, il risultato conferma l'indicazione degli iscritti: Pierluigi Bersani raccoglie la maggioranza dei voti, probabilmente oltre al 50%, e il segretario uscente Dario Franceschini è il primo ad incoronarlo. Cavallerescamente: «La scelta degli elettori emerge chiaramente. La scelta è per Bersani, e gli ho già telefonato. Continuerò a lavorare per il partito». E anche il terzo incomodo Ignazio Marino, ben piazzato attorno al 15% nei primi dati dello spoglio, attende l'arrivo del nuovo segretario del principale partito di opposizione nella sede Pd per stringergli la mano. Gesti di fair play che preludono a una rappacificazione interna, dopo i mesi di aspra tenzone congressuale. Anche Massimo D'Alema, grande sponsor di Bersani, apre all'appeasement. «Ora da Pierluigi arriverà innanzitutto il segnale dell'unità del partito».
Bersani intanto prende al volo lo scettro e mette subito le cose in chiaro. Prima via web su Twitter («Nella vittoria di tutti c’è anche la mia»), poi a parole: «Farò il leader del Pd, ma lo farò a modo mio: non il partito di un uomo solo ma un collettivo di protagonisti. Preferisco che il Pd si definisca un partito dell’alternativa piuttosto che dell’opposizione, perchè l’alternativa comprende anche l’opposizione ma non sempre è vero il contrario». E se non fosse del tutto comprensibile il messaggio, ecco la conclusione: «A volte stare in un angolo a urlare non porta a nulla: intendo avviare subito un confronto con le altre forze del centrosinistra».
Foto e notizie d’agenzia intanto documentano che la partecipazione è alta, in giro per l’Italia. A giudicare dalle immagini che arrivano, da Palermo a Milano, il richiamo delle primarie e la possibilità di partecipare ad una votazione ha funzionato bene sugli immigrati extracomunitari: la fila ai gazebo del Pd è multietnica. Mentre ha funzionato meno sui giovani: l’età media dei votanti ripresi o fotografati è alta. A Roma e nel Lazio il calo però c’è, anche se la regione finita nell’occhio del ciclone con le drammatiche dimissioni del governatore Pd Piero Marrazzo è terza in classifica per affluenza, dopo la disciplinata Emilia Romagna e la Lombardia. Alle 19, nei 650 gazebo laziali avevano votato in 200mila. Un calo del 20% rispetto al 2007, ma va calcolato che due anni fa il candidato si chiamava Walter Veltroni, era il sindaco di Roma e aveva un fortissimo effetto traino nella Capitale. «Ma a livello nazionale - afferma il vice-capogruppo al Senato Nicola Latorre - tutto lo scandalo ha prodotto in realtà una reazione positiva da parte del nostro popolo, di orgoglio di partito». È magari anche il segno, aggiunge Latorre, che «c’è rigetto per la dilagante propensione, fatta propria anche dalla sinistra, a frugare nel privato altrui». Nessun effetto negativo sul voto, dunque: «Al massimo - secondo Enrico Letta - la vicenda Marrazzo potrebbe finire col far prendere più voti a Ignazio Marino, per irritazione per la vecchia classe dirigente».
Alle 17.30 si annunciano già due milioni di votanti, a sera si dà per possibile il traguardo dei tre. Non tutto fila liscio: le mozioni si rinfacciano irregolarità in varie zone d’Italia, il Tg de La7 racconta che a Castellammare si può votare tre volte di seguito senza incappare in controlli. Dal comitato Bersani, comunque, trapela per tutta la giornata la convinzione che le urne non faranno che confermare il verdetto degli iscritti. E se dal comitato Franceschini si continua ad affermare che la grande affluenza può «cambiare tutto», anche un big molto vicino al segretario uscente ammette a mezza bocca che «un partito di ex Ds non concederà mai la segreteria ad un ex Dc».
Ad urne ancora aperte, già si discute di organigrammi e di possibilità di ricompattamento post congressuale.

Il posto più ambito in ballo è quello di capogruppo alla Camera: un nome molto gettonato in casa bersaniana è quello di Enrico Letta. Ma anche Piero Fassino, schierato con Franceschini, punta all’incarico: non a caso è quello che da settimane insiste di più sulle ipotesi di «governo unitario» del Pd. Bisognerà vedere cosa ne pensa il nuovo leader.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica