L’eroe che studia da martire

Scommetto che Michele Santoro è contento come una Pasqua per il clamore suscitato dal suo scontro con il ministro Clemente Mastella. Le polemiche, meglio se sguaiate, sono state l’essenza delle sue trasmissioni e della sua popolarità. Annozero era rimasta un po’ sottotono, per acredine e faziosità, rispetto ai precedenti: ma il rientro di giovedì sera è stato in tutto e per tutto all’altezza dei più ruggenti trascorsi. Santoro ha indossato, dopo l’uscita di scena di Mastella, i panni del combattente per la libertà, ha voluto rinverdire i fasti del «bella ciao» intonato - o piuttosto stonato - ai tempi di Sciuscià, e si è lanciato in una invettiva moralista: «La cosa di cui davvero non se ne può più - ha inveito - è l’arroganza di questi politici... Non me ne frega niente. Cacciatemi». Un eroe. «Io solo combatterò, procomberò sol io». Un biondiccio arcangelo Michele che si avventa contro il male.
Prima d’avanzare qualche considerazione sui corsi e ricorsi d’una Rai affascinata dall’estremismo parolaio, voglio dire che Santoro è un ingrato. Se la prende con Mastella, ostentando autentica indignazione, quando dovrebbe rendergli omaggio per l’impulso ai dati d’ascolto di Annozero. Se la prende con la politica che è stata il suo habitat, che gli ha fornito il propellente per il successo, che gli ha offerto un comodo e remuneratissimo parcheggio a Strasburgo mentre era inattivo - sia come conduttore televisivo sia come europarlamentare - e che gli ha assicurato il ritorno con il tappeto rosso. Il centrosinistra ha spasimato per riavere Santoro, e adesso se lo deve cuccare. Per questo suonano piuttosto singolari gli accenti mesti dell’ulivista Giorgio Merlo quando si chiede «quale è il ruolo di personaggi televisivi come Santoro».
Il ruolo è chiaro. Santoro è intriso di ideologia, non fa informazione ma agita stendardi di sinistra, trasforma i programmi in congegni sottilmente e perfidamente intesi a dimostrare una tesi e a ridicolizzare le tesi avverse. Chiunque, non condividendo le sue opinioni, sia stato coinvolto in una sua trasmissione, ne ha sperimentato l’astuta cattiveria. È capitato anche a me, in una trasmissione di Samarcanda durante la quale una delle platee di dervisci urlanti che Santoro amava radunare mi bollò come fascista. Il cuore di Santoro è con i movimenti, con i girotondi, con le assemblee studentesche più forsennate. Mastella e Rutelli sono per lui dei reprobi, appartengono alla vil razza dannata dei politici, quei politici speciali contro i quali l’arcangelo ha scagliato i suoi anatemi. Francesco Caruso appartiene, beninteso, a tutt’altra schiatta politica: degna di considerazione per l’afflato civico che l’anima. Mi pare che Enzo Carra, parlamentare della Margherita, abbia ben riassunto l’exploit santoriano: «Più che una trasmissione è stato un processo in direttissima contro chiunque avesse qualcosa da obbiettare alla ideologia del gay pride».
Sì, Santoro si crogiola in queste baruffe. Cerchiamo allora di non dargli troppa corda. Vuole fare il martire. Spera molto che venga proposto di estrometterlo dalla Rai, che insorga veemente uno schieramento in suo favore, che l’Italia si divida fra contrari e favorevoli, che il «caso» Santoro venga presentato come una battaglia per i diritti civili, per la cultura e per chissà cos’altro. Se ne deve discutere, d’accordo. Ma senza drammatizzare.

Annozero non è Kabul, Santoro non è «Che» Guevara, la contesa politico-social-filosofica l’ha efficacemente sintetizzata Vauro nella vignetta che spiegava come qualmente quella Annozero fosse «una trasmissione di pericolosi comunisti, ora so che si tratta di comunisti pure froci». Questa l’altezza del dibattito. Mastella sarà anche suscettibile, ma bisogna capirlo.

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