L’Esercito si mette in vendita: un affare da un miliardo di euro

Il piano di riassetto degli immobili delle Forze armate. Il ministero della Difesa cede al Demanio 240 tra basi, caserme e poligoni. Sarà dismesso pure un faro alle Tremiti

L’Esercito si mette in vendita: un affare da un miliardo di euro

Giuseppe De Bellis

da Milano

Aeroporti, forti, caserme, terreni, poligoni e un faro alle isole Tremiti. Quello che era un pezzetto del patrimonio della Difesa italiana è in vendita. Dichiarato in congedo perché non è più funzionale al sistema di «protezione» militare italiana di oggi e di domani. Il compito di trovare un acquirente è dell’Agenzia del Demanio che ha ricevuto i beni dal ministero dell’Economia. E i beni sono in tutto 240, per un valore che un decreto legge del febbraio scorso ha stimato tra i i 954 e 1.357 milioni di euro. Soldi che incasserà lo Stato italiano per poi riutilizzarli in diversi modi. Soldi che arriveranno perché il ministero della Difesa ormai aveva annunciato che le caserme e gli altri immobili erano «non più utili ai fini istituzionali».
Allora la Difesa aveva deciso di cederli all’Economia che poi li avrebbe «girati» al Demanio per poter monetizzare la loro cessione. E adesso il Demanio quei beni ce li ha e ha anche cominciato a venderli. È dal 21 giugno scorso - quando la Gazzetta ufficiale ha pubblicato il decreto del 28 febbraio - che la lista delle strutture è definitivamente nota. Oggi è già cominciata qualche trattativa, anche se il grosso delle vendite arriverà nel 2006: il Demanio prima di cedere gli immobili ha intenzione di ristrutturare quelli che sono in condizioni peggiori. Da quel momento scatterà la corsa: i candidati all’acquisto sono essenzialmente le imprese di costruzioni attratte dalla possibilità di poter acquistare spazi edificabili.
Tra i 240 beni individuati ci sono l’ex base Nato Scatter di Calice Ligure (in provincia di Savona), Campo di Marte a Brescia, Piazza d'Armi ad Alessandria (ex campo sportivo militare), la caserma Vittorio Veneto a Firenze, Forte Santa Sofia a Verona, l'aeroporto di Pontecagnano (in provincia di Salerno), le caserme Chiarini, Masini, Mazzoni, Battistini e Sani a Bologna, il Torrione Francese di Gaeta (in provincia di Latina), le aree esterne dell’aeroporto di Guidonia (in provincia di Roma), Forte Tiburtino e Forte Bravetta a Roma, il complesso immobiliare dell'isola Palmaria (in provincia di La Spezia), la vecchia Palazzina Mameli a Milano, il poligono Tsn di Gallarate (in provincia di Varese), un’aliquota dell’aeroporto di Fano (in provincia di Pesaro), lo stabilimento balneo-termale di Acqui Terme (in provincia di Alessandria), il Faro di San Domino alle isole Tremiti (in provincia di Foggia), l’aeroporto del Prete di Vercelli.
Nel 1997 la lettera di congedo era già arrivata ad altri 302 immobili scelti per essere restituiti alla vita civile. Nella folta lista di beni da vendere c’erano allora infrastrutture dedicate alla vita militare come 60 poligoni e campi da tiro a segno, 53 caserme, 24 depositi di munizioni, nove polveriere. Ci fu anche qualche sorpresa. Nell’inventario dei beni che lasciarono la divisa delle forze armate c’erano due isole, l'Isola di Santo Spirito a Venezia e l'isola di S. Andrea nel mare di Gallipoli in Puglia; alcuni palazzi come il palazzo Ducale di Sassuolo, Palazzo Prosperi-Sacrati a Ferrara, Palazzo S. Michele di Bari, Villa Magrì a Taranto; tre fari, ad Ischia, a Massalubrense e a Brindisi; quattro aeroporti, a Ferrara, Modena, Ravenna e Frosinone; ed anche una ferrovia, quella del Mar Piccolo a Taranto.
La maggior parte di questi beni, 237, fu immediatamente disponibile e pronto alla vendita, il resto invece per un po’ di tempo restò in uso pur non rispondendo più alle esigenze del ministero della Difesa. La regione con il pacchetto più consistente di beni da «smilitarizzare» fu il Veneto con 55, seguito dall’Emilia Romagna con 49, dalla puglia con 42, dal Piemonte con 24 e dalla Liguria con 23. La regione a vendere di meno fu il Molise, con appena un immobile. Il valore dei beni fu stimato in mille miliardi di lire.

Mille miliardi, ovvero quasi cinquecento milioni di euro per 302 immobili. Molto meno di quanto vengono valutati oggi gli immobili che il Demanio si appresta a vendere: per 240 «pezzi» lo Stato otterrà più di un miliardo di euro, l’equivalente di duemila miliardi di lire.

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