L’esperto: «Così risolveremo molti più delitti»

da Roma

Più che le parole contano i numeri. Alberto Intini, il direttore della Polizia scientifica, cita i dati provenienti dalla Gran Bretagna, il Paese all’avanguardia quando si coniugano criminalità e Dna: «Lì, la banca dati esiste dal ’95. E i risultati sono molto importanti».
La percentuale di rapinatori, assassini e stupratori scoperti aumenta in modo consistente?
«Certo. Per quanto riguarda i delitti - quindi violenze, omicidi, furti in abitazione e altri reati gravi - i casi risolti fra il 2002 e il 2005 sono aumentati dal 26 al 59 per cento. Con una precisazione, però».
Quale?
«Parliamo di delitti in cui era rimasta nelle mani degli investigatori una qualche traccia biologica. Statisticamente, la stragrande maggioranza dei casi».
Per gli omicidi?
Qui i numeri sono molto incoraggianti: si è passati dal 32 per cento di casi risolti al 72 per cento. E il tempo giocherà a nostro favore perché la banca dati crescerà negli anni, raccoglierà sempre più profili e ci permetterà un numero sempre più alto di confronti. Un po’ come succede con le impronte digitali».
Avremo meno gialli e più processi?
«In Spagna, dove sono partiti a ottobre 2007, i risultati sono molto interessanti».
Scusi, ma polizia e carabinieri non maneggiano già il Dna come in Csi?
«Per carità, noi già lavoriamo con il Dna e ogni anno raddoppiamo la nostra attività: basta pensare al delitto di Perugia, ma avere a disposizione una banca con migliaia di profili allargherà enormemente il campo delle nostre esplorazioni e quindi la possibilità di smascherare i criminali».
Molti delitti avvengono in famiglia.
«Certo, un delitto avvenuto nell’ambito familiare solitamente viene risolto anche senza ricorrere al Dna. Ma un omicidio, chiamiamolo così, di passaggio, no: non c’è alcun legame fra il carnefice e la vittima. O lo prendi con la tecnologia o non lo trovi più».
Quale dei misteri italiani potrebbe essere risolto con la banca dati?
«Non si possono dare risposte teoriche. Ma gli apparati investigativi avranno nelle mani uno strumento formidabile. E con gli anni, con la rete sempre più larga, sarà sempre più facile pescare i criminali».
L’archivio funzionerà anche con i clandestini?
«Certo, ci aiuterà, in collegamento con le altre banche dati europee, a dare un nome e un passato agli irregolari che bivaccano in Europa. Specialmente ai criminali: il data base ci servirà per decifrare la storia di molti clandestini delinquenti».
Sarà, ma così la nostra privacy non rischia di essere violata?
«No. Dai profili non potranno essere estratti dati “privati”. Per esempio relativi alla salute e alle malattie».
La paura del Grande fratello è ingiustificata?
«Del tutto fuori luogo. Dobbiamo aver paura, semmai, di non contrastare con tutti i mezzi a disposizione la criminalità».
Ci sono state molte polemiche.
«In Italia si polemizza su tutto. E poi consideri i ritardi, la burocrazia, i costi da affrontare.

Però la situazione non era più tollerabile: eravamo rimasti fra i pochissimi Paesi senza una banca dati».
I suoi colleghi europei, quando vi incontrate, che le dicono?
«Tacciono per buona educazione. Ora dobbiamo recuperare. Speriamo che il Parlamento approvi in fretta il provvedimento».

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