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L’hockey canta Napoli con lo zio d’America

L’hockey canta Napoli   con lo zio d’America

Francesco Rizzo

Quanti Luongo ci sono a Torino? Elenco telefonico alla mano, trentasette. Avvisateli, sta arrivando lo zio d'America. Uno che, nell'agosto scorso, ha firmato un contratto di un anno da 3,2 milioni di dollari per esercitare una curiosa professione: evitare che dischi di gomma che sibilano veloci come frecce si infilino alle sue spalle, in una scatola larga un metro e ottantatré e alta uno e ventidue.
Il portiere nell'hockey su ghiaccio, insomma. È la storia del ritorno alle origini di Roberto Luongo, pronuncia corretta, secondo le guide sportive d'oltreoceano, "luh-wahn-goh", ma ai Giochi invernali che scattano fra pochi giorni in Piemonte nessuno si sbaglierà. Nato nel Quebec, figlio di napoletani, amante del poker, Roberto vestirà la maglia della nazionale canadese, ovvero dei detentori dell'oro olimpico, favoriti d'obbligo per un posto in finale (26 febbraio). Non dovrebbe giocare titolare ma il suo momento di gloria, sulle piste a cinque cerchi, potrebbe ritagliarselo. Proprio lui, che ha sangue italiano nelle vene malgrado la foglia d'acero sul passaporto.
Storie di paisà, in questo velocissimo sport per samurai-equilibristi, ce ne sono da scrivere un romanzo. La stessa nazionale azzurra, che il 15 debutterà giusto contro i canadesi sperando che non finisca come una Cinquecento contro un tir, conta diversi giocatori nati in Nord America da famiglie originarie del nostro Paese e poi diventati emigranti al contrario con i pattini in valigia. E se gli appassionati ricordano selezioni italiane con molti più oriundi, non è un caso che un ruolo-chiave come l'estremo difensore spetti a Jason Muzzatti, ieri professionista nella National hockey league, la Nba dell'hockey, oggi a Bolzano. Avessimo un campionato cento volte più ricco e prestigioso del nostro, magari ne avremmo attirate tante di stelle italo-americane o italo-canadesi, come lo stesso Luongo. Cresciuto fra il culto per i leggendari Edmonton Oilers e un lavoro nel negozio di scarpe del padre, Roberto ha cominciato la carriera professionistica con i New York Islanders, che lo scelsero come quarto giocatore assoluto del draft 1997, una chiamata da record per un portiere. Nel 2000 il trasferimento ai Florida Panthers che, nella stagione in corso, hanno però un bilancio in rosso: il ventiseienne Luongo, «robusto, atletico, sempre equilibrato, capace di vincere da solo una partita» secondo i guru del periodico americano The Sports Forecaster, è, fra tutte le sentinelle della lega, l'uomo che deve fronteggiare più tiri - segno che qualcosa non funziona altrove - eppure la difesa dei Panthers non è la peggiore per numero di reti subite. Del resto lo «scugnizzo», capelli corvini e sorriso solare, ha migliorato il record Nhl per numero di parate in una sola stagione e, nel 2002, è arrivato a 57 interventi nella stessa partita. Come fermare la grandine con un cucchiaio. Giocasse a calcio, Aurelio De Laurentiis lo porterebbe al Napoli e allora altro che fangosi pomeriggi in C1.
Invece no, Roberto è un partenopeo di Montreal, abbastanza ricco da fondare un ente benefico cui effettua donazioni personali in proporzione al numero di gol evitati in pista. Ed è già stato due volte campione del mondo con il Canada: nel 2003, quando saltò fuori dalla panchina per mettere la colla sulle stecche della Svezia, e nel 2004. Ora spera nella medaglia olimpica a Torino, nella «sua» Italia. Dove non rinuncerà al rituale di sedere in tribuna, prima delle partite, per arrotolare il nastro sulla stecca. In questo sport sono scaramantici persino gli altoatesini.

Figuratevi un napoletano.

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