L’incubo elezioni si aggira a Palazzo: Lega e Pd tremano

RomaMinistro, si va al voto anticipato? Dito medio in aria e via. Più chiaro di così. Umberto Bossi ultimamente ama deliziare i giornalisti con la risposta più sintetica che il corpo può produrre. Poco garbata, ma che comunica senza parole: la Lega non vuole il voto anticipato, farà di tutto per non averlo, e se si va a elezioni «gli smontiamo l’aula», ci diceva ieri un leghista in Transatlantico. Sempre parlando per immagini «fiabesche», aggiungeva: «Se si fa un governo tecnico gli svitiamo a uno a uno tutti gli scranni. Se non si approva il federalismo, idem. Se si vota e andiamo all’opposizione, peggio».
Sono spaventati nel Carroccio, anche se non lo ammetteranno mai. Hanno un po’ di paura pure i berluscones, perché i 33 pronti a confluire nel nuovo gruppo di Fini potrebbero raggranellare un certo numero di voti, se si dovesse tornare alle urne. Non sono tanto sereni neanche i 33, perché ancora non hanno capito loro stessi se sono soltanto dei numeri, o anche qualcos’altro, portatori di bacini di elettori potenziali. E non lo è Fini, che si ritrova con un gruppo ma senza partito, e dunque andrebbe a elezioni con un progetto di «futuro e libertà», ma senza un presente. Per non parlare del Pd: pubblicamente la linea è granitica, ma in gran segreto nel partito di Bersani sono terrorizzati perché sanno che se si va al voto con questa legge elettorale «sarà un bagno di sangue».
Insomma, ieri alla Camera alla fine gli unici a non aver paura sembravano i dipietristi. Godono di queste lotte, tanto che l’altra sera sulla terrazza dell’hotel Aleph, mentre da palazzo Grazioli Berlusconi annunciava la cacciata di Fini, Di Pietro e i suoi hanno mangiato e brindato in onore «dei futuri tempi migliori...». Senza rendersi conto che tornare al voto, pure per loro, non sarebbe uno scherzo, se si considera che sul piano della tanto sbandierata legalità un Fini battitore libero potrebbe far concorrenza a Di Pietro.
Tolte le maschere di ambigua soddisfazione del Pd, le facce più truci comunque ieri erano quelle dei leghisti. Più che da nuove elezioni, i seguaci di Bossi sono abbagliati dal pericolo dell’affondamento del federalismo. «Federalismo o morte» è più che mai un grido di battaglia da intonare ora che Fini con il suo partito del sud è sguinzagliato. Una scena avvenuta ieri in Transatlantico dà il senso di questi timori. Un leghista si rivolge a un finiano moderato: «Adesso so io che cosa farete! Ci bloccherete il federalismo, così ci darete tutta la colpa della caduta del governo!». Il voto sui decreti attuativi del federalismo sarà uno dei momenti cruciali dell’autunno. L’ottimismo del ministro dell’Interno Roberto Maroni sembra quasi un avvertimento: «Sono convinto che nonostante le tensioni nel Pdl, il governo manterrà la sua maggioranza e la capacità di condurre a termine la legislatura». La Lega non vuole vedere alternative, non possono esserci varianti di percorso. Il dito medio di Bossi è la sintesi del pensiero di Maroni.
Almeno i leghisti parlano chiaro. Nel Pd invece le acque sono agitatissime, ma all’esterno si sfoggia una calma olimpica. Dietro a una colonna del Transatlantico ieri D’Alema sembrava dettare la linea a Bersani. Max parlava e il segretario faceva di sì con la testa pensieroso. Per tutto il giorno Bersani ha ripetuto: «Berlusconi venga in aula. Il governo non c’è più». Sicuro, grintoso. In mattinata, in realtà, si era svolta una riunione del Pd in cui Baffino si era raccomandato: dichiariamo che non abbiamo paura delle elezioni ma intanto lavoriamo per la riforma elettorale. È questo uno dei punti di forza che, nell’ombra, D’Alema vorrebbe proporre per la creazione di un eventuale governo tecnico. Governissimo in cui vedrebbe molto bene Fini. Ma in cui dovrebbe esser presente anche la Lega. Solo che tra le realizzazioni immediate il Carroccio vorrebbe il federalismo, non gradito a Fini. E dunque questo governo-ponte si sfascerebbe alla prima brezza. Ieri Bersani con una delegazione del Pd è stato ricevuto al Quirinale da Napolitano per illustrare la preoccupazione sulla crisi politica. Secondo fonti del Colle, il capo dello Stato avrebbe risposto che non compete al suo ruolo entrare in vicende interne ai partiti.

È chiaro che la possibilità di voto anticipato dipenderà da come saranno votati alcuni provvedimenti chiave. Dipenderà, molto, dalla Lega. «Speriamo che tutti e due usino cuore e cervello», ha detto Bossi di Fini e Berlusconi, prima di lasciare la Camera.

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