L’ingresso in Europa non vaccina dal rancore

Evidentemente le vicende della seconda guerra mondiale hanno vaccinato contro ogni tentazione nazionalista noi italiani, ma non i vicini della frontiera orientale. L’arroganza aggressiva con cui il presidente croato Stipe Mesic ha reagito al pacato e sensato discorso di Giorgio Napolitano nel «giorno del ricordo» sembra appartenere non alla nostra Europa (sulla cui soglia la Croazia è in attesa d’ammissione) ma all’Europa degli odi, delle contrapposizioni, delle guerre, delle rappresaglie, delle foibe.
Nessuno può credere a Stipe Mesic quando va raccontando che nelle parole del Presidente italiano sono ravvisabili «elementi di aperto razzismo, revisionismo storico e ricerca di vendetta politica». Il testo dell’intervento è stato ed è sotto gli occhi di tutti. La lettura che ne ha fatto non uno sprovveduto fanatico, ma il capo di uno Stato che presto sarà partner dell’Italia nell’Unione Europea lascia sconcertati, per non dire sgomenti. Le critiche di Napolitano erano rivolte principalmente al silenzio e all’oblio calati - per vari motivi, non ultima una voluttà d’autoflagellazione nazionale seguita alle smargiassate mussoliniane - sulla tragedia delle cavità carsiche riempite di morti o moribondi, e dei profughi giuliani.
Ma di questo il signor Mesic non vuole sentir parlare, perché aggrappato a una concezione della storia - quella sì intrisa di vendetta politica postuma e anacronistica - che pretende di collocare l’Italia tra i vinti, e la Croazia tra i vincitori. E i vinti, si sa, sono chiamati a rispondere di tutto: mentre su tutto i vincitori hanno l’assoluzione. Norimberga insegna. Ragion per cui le foibe sarebbero state una reazione, in definitiva non censurabile, ai «crimini fascisti».
Proprio perché, da vaccinati, valutiamo il passato in tutti i suoi aspetti, i crimini fascisti non li neghiamo. Ci fu il tentativo di deslavizzare le terre di confine, ci furono le rappresaglie anche sanguinarie durante l’occupazione. L’antefatto annulla l’orrore di una pulizia etnica innegabile, di massacri spaventosi?
La rusticità brutale di questo ragionamento - che purtroppo fu fatto proprio, durante decenni, dal Pci - riporta molto indietro l’orologio delle relazioni internazionali. Il mondo ha preso coscienza delle sofferenze patite anche da coloro cui era stato assegnato il ruolo di cattivi nel copione della storia. Si parla ormai senza reticenze della sorte atroce toccata, per l’avanzata dell’Armata rossa, alle popolazioni tedesche in fuga dalle loro terre. Si parla senza reticenze di eccidi perpetrati, allo sbarco in Italia nel 1943, da reparti americani. Gli Usa lo accettano, la Croazia no?
V’è un elemento paradossale in questa polemica. Stipe Mesic sembra qui riabilitare il maresciallo Tito, che sottopose la Jugoslavia a una dittatura ferrea e che allestì campi di concentramento - tra gli altri quello orribile di Goli Otok, «Isola Nuda» - nei quali veniva dimostrato che l’allievo ribelle Tito era degno del maestro Stalin.

Vuol sostenere, Mesic, che Tito non commise atrocità nemmeno nei confronti dei croati, oppure vuol sostenere che quelle contro i croati valgono, quelle contro gli italiani non valgono o comunque sono state meritate? C’è di che essere inquieti al pensiero che un politico animato da questi sentimenti e immerso in questi rancori debba presto stare nell’Unione Europea. Forse è opportuno che l’Unione si dia una calmata. O, meglio ancora, che se la dia Mesic.

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