L’Inter costretta a vincere per non sentirsi incompiuta

La tradizione è dalla parte dei nerazzurri. Adriano partirà in panchina

nostro inviato

ad Appiano Gentile

Atmosfera da finale. Per chi non l’avesse capito, e qualcuno c’è, questa partita vale una miniera d’oro, l’hit parade delle preferenze interiste, la storia di una stagione, l’impossibilità di sentirsi normale o la voglia di non ricadere nella normalità. Per il tifo di Champions è la Partita con la «p» maiuscola. Ci sarà chi gufa e chi starà con il cuore stretto. Bella come una eliminazione diretta. L’Inter è davanti al solito bivio di tutta questa strana annata: costretta a vincere per non finire nel girone dei derisi, degli assediati, degli eternamente incompiuti. Lo Sporting le ha suonato uno dei pochi campanelli d’allarme di questi primi mesi. Stasera potrebbe completare l’opera o spiegare che l’Inter ha fatto strada, non è più quella squadra ingolfata e stordita di settembre a Lisbona.
Una vittoria qualificherebbe i nerazzurri al turno successivo, un pareggio complicherebbe le cose (con necessità di successo a Monaco), una sconfitta segnerebbe il flop quasi definitivo. «Sarà la terza finale di Champions, dopo le prime due contro lo Spartak. Eravamo quasi affogati, ci siamo tirati su. Questa sarà la più importante, sarà dura: vincere non sarà semplice. Dobbiamo dimenticare la gara scialba di Lisbona». Mancini ha ben capito cosa l’aspetta. Ieri aveva la faccia dei giorni di tensione. I suoi giocatori si sono sfogati in altro modo: durante la partitella un’entrata di Vieira su Materazzi ha scatenato i nervi. A pranzo un difensore ha mostrato la naturale aggressività per un piatto a base di bistecca e due uova. Lui ne voleva una! Mancini invece si è nascosto dietro un totale catenaccio quando si è trattato di parlare di formazione: segnali di sofferenza e di preoccupazione. Ha soltanto notificato il duo di punta. «Adriano verrà in panchina e se dovesse entrare speriamo possa far meglio dell’altro giorno». Sì, il fenomeno non l’ha esaltato. Mentre Cruz farà sentir la mancanza: lesione al legamento del ginocchio destro. Gesso per 15 giorni, non tornerà prima di due mesi.
Serviranno gol e determinazione. Il tecnico ha usato un aggettivo che qualcuno conosce (Ibrahimovic), altri meno. «Voglio un’Inter cattiva: sia quando c’è la possibilità di andare in gol, sia per concedere nulla agli avversari». I portoghesi giocano al modo loro: calcio che ti stordisce in mezzo al campo, gran palleggio. All’andata innervosirono Vieira, espulso per doppia ammonizione. «Eppure, quando siamo rimasti in dieci abbiamo combinato più di quando eravamo in undici», ricorda il tecnico. Quindi: «Dovremo gestire bene la partita. Conto sulla riscossa della squadra dopo una partita così così in campionato. Non dobbiamo lasciare allo Sporting l’opportunità di fare il match». Sarà una squadra leggermente diversa da quella che ha giocato a Lisbona, che fu la tomba del posto da titolare per Toldo. Un errore del portiere oggi potrebbe costare un’eliminazione. Ruolo delicato. Ma serve la sveglia degli attaccanti. La strana tradizione dello Sporting a San Siro (ha sempre perso 2-0 e tre volte con l’Inter) dovrebbe essere un invito. Non c’è Cruz, il castigatore dello Spartak. Forse non ci sarà Figo che a Lisbona fu un fantasma. I portoghesi mancano di due attaccanti: Yannik Djalo (infortunato) e Liedson (squalificato). Situazione invogliante, ma dal tranello facile. Lo Sporting, nelle trasferte di Champions, ha sempre pareggiato.
Inter con almeno sei giocatori europei, due dei quali italiani, un’idea che piacerà a Blatter che ieri, nella sua furia innovativa, ha fustigato anche la squadra di Moratti.

«Non esiste più uno spirito di squadra legato alla nazionalità. Ed è logico se si pensa che l’Inter, in una partita della scorsa stagione, ha schierato una squadra con un solo europeo su undici». E allora: Inter fuori i cannoni. Per impallinare tutti. Blatter compreso.

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