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L’Inter trova finalmente una notte di festa

Riccardo Signori

da Milano

Scende dalle stelle del cielo di San Siro la coppa Italia che restituisce l’Inter all’onore della sua storia e del suo blasone. Stasera ho vinto anch’io, ha cantato felice il pubblico del Meazza ritrovando la quiete che mancava da sette anni. A Parigi fu la festa con Ronaldo. Qui è stata festa avviata a Roma da Adriano e chiusa con il brindisi a champagne regalato da Misha Mihajlovic e da quel piede da gran maestro di cerimonia. Una punizione, e che altro pensavate, è stato il rintocco a festa che ha avviato la serata della celebrazione e costretto Adriano Galliani - accompagnato dai fischi di tutta San Siro - a bere per l’intero l’amaro calice di una stagione sull’altra sponda. Scherzi del destino.
L’Inter non vinceva la coppa da 23 anni, quando in panca ci stava Bersellini che era un sergente di ferro. Stavolta se l’è presa tenendo in panca Roberto Mancini, tutto cachemire e ciuffo a modino, altri tempi davvero, che a quei tempi giocava al pallone e si è abituato a vincer queste coppe da giocatore. Poi ci ha preso gusto come tecnico. Questa è la terza con tre squadre diverse, un record riuscito solo ad Eriksson che poi è stato il suo maestro di panca. Ora Moratti potrà dire di avere visto giusto, e soprattutto potrà ritrovare il sorriso stringendo quella coppa, seconda della sua ineguagliabile avventura interista. Onore ad una squadra che quest’anno ha onorato davvero la coppa Italia, lasciando briciole a tutti e ieri ha dimostrato che Zanetti, Ze Maria, Cordoba, Kily, Cruz e gli uomini della classe operaia servono più di due primedonne in altri pensieri affaccendate (Totti e Cassano).
Al di là di tutto, San Siro ieri sera era uno spettacolo: colori, pubblico, tifo, voglia di godersi una festa. E l’Inter ha provato a far godere tutti. In campo undici uomini in buona salute, subito atmosfera da nervi tesi (alla fine ne farà le spese Cufrè): un po’ corrida, scariche elettriche da isterismo di massa, figlie della voglia di non mancare l’ennesimo appuntamento della storia nerazzurra. L’arbitro e i suoi guardalinee che mandano tutti su di giri, Roma con le solite due punte, Montella in panca pronto per l’inizio ripresa. I mortaretti, però, arrivano solo dalle tribune. L’Inter ha voluto far subito partita da padrona di casa e della coppa. Tutti dietro a Zanetti nel cacciare avversari in pressing, tutti a cercar Martins per il contropiede da far girare la testa e togliere ogni dubbio dalla testa. Il puffo nigeriano ci ha provato dopo 15 secondi ed è stata una delle migliori azioni della sua partita. Salvo sbagliare l’ultimo passaggio. Poi sono state intenzioni e speranze: Mihajlovic che cerca il gol con punizioni da maestro, Cruz che vuol lasciare buoni ricordi e serve assist e palloni che valgono, Martins che gioca e pasticcia, pasticcia e gioca: prima s’impappina in area, poi fila come un leprotto e s’infila sulle braccia di Curci. Il portiere schizza la palla con la punta delle dita, quell’altro cade, l’arbitro dice che non è rigore e forse vede bene.
La Roma non fa la comparsa, ma ogni tanto ci prova. Il duo delle meraviglie, Cassano e Totti, ronfa sonoro, ricompare per giocate che vogliono solo lucidare la serata propria, non quella della squadra. E Totti ci aggiunge sempre le trovate carognetta dall’inizio alla fine: Zanetti ha rischiato mica poco su un intervento da dietro. Poteva perderci il tendine.
La partita è stata tutta un’attesa di quel gol a metter timbro al ritorno dell’Inter fra le squadre che sanno vincere. E forse è un caso, forse un segnale, che la convalida sia arrivata da uno dei vecchi pirati pescati quest’anno per regalare sicurezza e personalità. Mihajlovic non ha mollato una punizione e, quando Perrotta ha commesso fallo al limite su Stankovic, ha intravisto il momento: tiro di veleno puro, le gracili mani e i riflessi non proprio esaltanti di Curci hanno fatto il resto. Gol e che la festa cominci.

E così è stato.

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