Economia

L’intervento Agricoltura, la mano pubblica va tolta

L’ultima iniziativa è stata clamorosa. Ieri, nel bresciano, i Cobas hanno versato nei campi circa 200mila litri di latte, lamentando il fatto che oggi produrre un litro di latte costa 48 centesimi e ne rende solo 27. Ma nei prossimi giorni continueremo a vedere tensioni, perché ormai la crisi è profonda ed esige cambi strutturali.
Proprio in questi giorni il commissario europeo Mariann Fisher Boel ha presentato alcune misure in favore della filiera lattiero-casearia, ma continua a mancare il coraggio di porre fine all’intervento pubblico. Eppure per voltare pagina è necessario capire che le responsabilità sono da addebitarsi alla politica agricola comune (Pac), all'origine di ben cinque categorie di vittime. In primo luogo, la Pac colpisce i contribuenti. Assorbendo quasi la metà del bilancio europeo, la politica comune toglie risorse agli europei - ricchi e poveri - per darli agli agricoltori: anche quando sono ricchissimi. Com’è noto, in cima alla lista dei beneficiari della Pac ci sono la regina Elisabetta d’Inghilterra e il principe Alberto di Monaco, che posseggono enormi estensioni in Europa. Una seconda vittima sono i consumatori, dato che il sistema vigente tiene lontane le produzioni africane o asiatiche, spingendo verso l’alto i prezzi. Oggi vi è chi trova giustificazioni «salutiste» ai dazi: si afferma, in sostanza, che vi sarebbe una profonda differenza tra il nostro mais e quello (pericolosissimo) prodotto altrove. È solo un pretesto: come importiamo banane e ananas, potremmo benissimo aprirci anche ad altri prodotti.
A patire le conseguenze di tutto ciò è pure il Terzo Mondo, che a causa del protezionismo di Europa e Usa non accede ai nostri mercati e quindi ha serie difficoltà a crescere. I Paesi poveri non possono pensare di svilupparsi - non per ora, quanto meno - nel settore informatico, ma se la Ue non lascia passare neppure un chicco di grano, difficilmente avranno un futuro. Una quarta vittima sono i cittadini, che fanno i conti con l’immigrazione selvaggia. È infatti evidente che se i ministri dell’agricoltura difendono le barriere poste dinanzi ai prodotti dell’Africa o dell’Asia, prima o poi quelle popolazioni verranno tutte da noi. Fare arrivare più merci permetterebbe a molti più africani di non dover scegliere la strada dell’esodo.
In quinto luogo, un prezzo alto lo pagano gli stessi agricoltori europei. Basata su aiuti e dogane, la Pac conduce in effetti alla soppressione di due delle condizioni essenziali per avere una vera economia agricola: le giuste informazioni e i giusti incentivi. Per poter operare, un’impresa deve trovarsi in un contesto di prezzi di mercato e deve avvalersi di tali indicatori per sapere se sta agendo in maniera razionale o no. Se quanto entra sopravanza quanto esce (se quindi si fanno profitti), un’impresa è sulla giusta strada. Ma perché tutto questo sia vero è necessario che i prezzi siano di mercato, emergano dagli scambi e trasmettano informazioni affidabili.
In un’economia drogata dall’intervento pubblico, questi prezzi sono assenti. È per questo che molte aziende agricole hanno spesso compiuto scelte assurde: non ricercando la soddisfazione del consumatore, ma limitandosi ad inseguire gli aiuti. Tanto più che mancano i giusti incentivi.
La conseguenza è che la nostra agricoltura - anche in Veneto e in Lombardia, per intenderci - è sempre più un immenso Mezzogiorno, perché ha subito una devastazione simile a quella che ha conosciuto il Sud. Il mix di fondi, divieti e «quote» che ha accompagnato la Pac ha messo fuori gioco gli imprenditori e moltiplicato l'influenza dei politici e delle associazioni.
Esiste chi ha fatto scelte diverse: dove non è la politica a finanziare le stalle e decidere cosa va prodotto. Si pensi alla Nuova Zelanda, che già da molti anni ha eliminato ogni finanziamento ed è passata ad una logica di mercato, così che ciascun contadino può produrre quanto vuole e come vuole.

Non a caso il settore è in crescita e lo spirito imprenditoriale ha preso il posto del parassitismo. Perché a Bruxelles non iniziano a pensarci?

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