L’intervento All’Istruzione mancano 400 milioni

La scuola e l’Università, da che mondo e mondo, sono sempre stati i luoghi in cui più facilmente si sono accese le proteste. Qualche volta contro ogni logico cambiamento, alcune volte per questioni politiche, altre volte ancora per difese corporative. Scuola e Università sono luoghi in cui si sommano e si mescolano le tensioni giovanili, i disagi delle famiglie e gli interessi di categorie importanti per numero e qualità. Questo per dire che è profondamente sbagliato lasciarsi intimidire dalle proteste ma è altrettanto sbagliato liquidarle con battute di sufficienza. L’attuale protesta contro il ministro Gelmini non si sposta da questa antica tradizione in cui ragioni di merito, questioni politiche ed esuberanze goliardiche fanno un mix esplosivo capace di riempire le piazze di mezza Italia. Nell’assordante confusione di questi giorni pochi ricordano che il centrodestra con il ministro Moratti già introdusse due riforme della scuola, quella del cosiddetto primo ciclo (elementari e medie inferiori) entrata in funzione nel 2006 e quella del secondo ciclo la cui applicazione è stata rinviata dal governo Prodi. Se si va a vedere da vicino i contenuti del decreto Gelmini si resta di stucco. Il voto in condotta, ad esempio, era già stato introdotto dalla riforma Moratti e il passaggio dal giudizio ai tradizionali voti per valutare gli studenti è ampiamente apprezzato dalle famiglie e dai professori. Il punto dolente resta quello che nella protesta passa per il maestro unico e che nella difesa d’ufficio viene invece etichettato come maestro prevalente figura, peraltro, già introdotta dalla stessa riforma Moratti. La differenza sta nel fatto che nel decreto Gelmini il maestro è prevalente perché svolge il suo lavoro per una classe per 24 ore settimanali, mentre nella riforma Moratti era prevalente perché guidava la classe per 18 ore. Si tratta di un differenziale di sei ore settimanali che ha certamente effetti sulla organizzazione della scuola elementare, ma non devastanti come la protesta di piazza proclama. D’altro canto opposizione, movimenti di piazza e sindacati sono fuori tempo e sbagliano persona confondendo Gelmini con Tremonti. Lungi da noi, naturalmente, esporre più di tanto il ministro dell’Economia in un momento così complicato, ma sta di fatto che il decreto Gelmini altro non è che l’applicazione concreta dei tagli approvati con la manovra economica del luglio scorso. I lettori sanno come noi siamo stati tra i primi a sottolineare i rischi di una manovra economica di ottanta articoli approvata in soli nove minuti dal consiglio dei ministri e in pochi giorni dal Parlamento con il voto di fiducia avendo ricordato per tempo il vecchio proverbio secondo il quale per la fretta la gatta partorì i gattini ciechi. La dimostrazione di ciò che diciamo sta nel fatto, ad esempio, che proprio nel bilancio del ministero della Pubblica istruzione mancano all’appello oltre 400 milioni per oneri incomprimibili riguardanti i fitti, le utenze e le pulizie nelle istituzioni scolastiche centrali e periferiche. Il che determinerà inevitabilmente l’ulteriore accrescimento di debiti sommersi che ormai superano i 2 miliardi di euro per le sole amministrazioni centrali dello Stato. Noi sosteniamo da sempre che la necessaria riduzione della spesa pubblica è tanto più agevole quanto più alta è la crescita economica, ma su questo terreno da quindici anni l’Italia è la Cenerentola d’Europa con la conseguenza che ogni taglio di spesa finisce per essere devastante sul piano sociale.

Di qui allora si deve partire anche nella vicenda della scuola e dell’Università per un confronto parlamentare di merito in cui, abbandonando i pregiudizi politici, si cerchino punti di equilibrio e di sostenibilità tra politiche di bilancio e politiche settoriali.

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