Politica

L’INTERVISTA ALDO BONOMI

«Viviamo in un’era di cambiamenti continui, solo la rappresentanza delle parti sociali era rimasta invariata dai tempi del dopoguerra: ieri, finalmente, anche quest’ultimo motore immobile ha cominciato a muoversi. Il capitalismo del territorio, vero protagonista di questi anni, ha la sua voce». È di segno positivo la lettura che il sociologo Aldo Bonomi fa della nuova organizzazione che si affaccia sulla scena del Paese.
Che prospettive ha, secondo lei, questo nuovo soggetto?
«Per rispondere, partirei dalla metafora usata dal presidente della nuova Fondazione, Giuseppe De Rita: “Siamo arrivati al mare”. Come a dire, siamo pronti a prendere il largo. Ma per arrivarci si è dovuto fare un lungo cammino, prendendo atto di cambiamenti profondi. Primo fra tutti, la fine del “patto non scritto” su cui si basavano i rapporti fra sistema politico ed economico in passato».
Come funzionava?
«Il rapporto era fra i partiti e i tre grandi soggetti che hanno fatto lo sviluppo italiano dal dopoguerra: la grande impresa, tipicamente la Fiat, l’Iri e le banche di interesse nazionale. Poi c’era il "pulviscolo produttivo" sul territorio, dove insistevano le associazioni di artigiani, commercianti e ci metterei anche agricoltori. Adesso l’Iri non esiste più, Fiat è completamente diversa da quello che era, le banche sono private: ma c’è un nuovo protagonista, il capitalismo del territorio, quell’impresa diffusa che ha realizzato i distretti. Ecco, il patto di Capranica prende atto di questo».
Ma potranno stare insieme associazioni che vengono da matrici politiche così diverse?
«Quelle differenze ideologiche di schieramento, destra-sinistra per intenderci, oggi non hanno più senso: gli associati chiedono servizi e tutela, non patenti ideologiche. Così come non regge più il vecchio schema del Novecento: il conflitto tra capitale e lavoro, con lo Stato in mezzo. Adesso ci sono categorie nuove: il territorio, anzitutto, e i flussi, come la crisi che ha posto problemi a tutti. Ecco perché la nuova alleanza ha messo a fattor comune la domanda che viene dai soggetti, prescindendo dall’offerta ideologica. E ho apprezzato che personalità profondamente "novecentesche", come Carlo Sangalli e lo stesso De Rita, siano stati capaci di portare la loro memoria nella discontinuità del presente, cosa che la crisi rende ancora più urgente».
Appunto, la crisi: che conseguenze avrà sulla nuova alleanza?
«A maggior ragione questo è il momento di fare coalizione. E i piccoli imprenditori che a Roma applaudivano lo sanno bene, visto che tutti insieme sono riusciti per la prima volta a negoziare la cassa integrazione in deroga per il loro settore. Così come hanno applaudito quando sono stati ricordati gli imprenditori suicidi perché le loro aziende sono fallite: persone come loro, per cui l’impresa è un progetto di vita, ricordati come caduti sul lavoro».
I sindacati ci hanno messo quasi cent’anni a dividersi: ma oggi il tempo corre molto più in fretta. Non c’è il rischio che le spaccature si verifichino anche nella nuova alleanza?
«Lei è di Milano? Pensi al Salone del mobile, dove troviamo gli artigiani che i mobili li fanno, i commercianti che li vendono e gli architetti e designer che li inventano. Soggetti molto diversi, ma uniti dallo stesso processo produttivo. Ormai anche nelle piccole imprese si produce così, pensando alla qualità, al prodotto e al commercio: la "ragnatela" del valore al posto della classica catena. Quest’alleanza sarà magari un matrimonio di interesse, ma può funzionare».
Insomma, la nave va. E dove approderà?
«Gli Stati generali di ieri hanno preso atto che la rappresentanza è anche rappresentazione, dare la parola a un mondo che non ce l’aveva, attraverso un solo portavoce.

E questo significa la capacità di incidere di più ai due livelli oggi più importanti: l’Europa e le regioni, che il federalismo avranno più forza».

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