nostro inviato a Montebelluna (Tv)
Ci sono le foto in bianco e nero coi grandi del pianeta. Due pareti ricoperte. Il Papa, Bill Gates, il principe Carlo dInghilterra, il principe Alberto di Monaco. Accanto sempre lui, Mario Moretti Polegato: quello che ha cominciato con le scarpe bucate e in quindici anni è diventato famoso in tutto il mondo grazie alla «suola che respira». Seduto nel suo ufficio a Biadene, frazione di Montebelluna, provincia di Treviso, Mister Geox dice che tutto è nato da unintuizione ma, anche, dalla Luna. Che è anche un po grazie alla missione dellApollo 11 di quarantanni fa se la sua azienda, lanno scorso, ha ricavato 890 milioni di euro.
Scusi, che cosa centra la Luna con le scarpe?
«Lo sbarco è stato un momento emozionante, ma anche fondamentale per le scoperte scientifiche e tecnologiche. Per esempio le tute degli astronauti devono sopportare uno sbalzo termico molto forte e contemporaneamente permettere la traspirazione. Sono costituite da materiali particolari, le membrane».
Sono quelle che hanno ispirato le sue scarpe?
«È andata così. Ero nel deserto del Nevada, allinizio degli anni Novanta. Camminavo nel deserto con mia moglie e soffrivo: dovevo far respirare i piedi. La suola era in gomma, così lho bucata con un coltellino svizzero».
E le è rimasta la cicatrice...
«Sì. Qui, sulla mano destra. In quel modo avevo risolto il problema ma, quando pioveva, entrava lacqua. Allora ho fatto delle ricerche e ho scoperto che gli astronauti dellApollo 11 avevano dei materiali particolari nelle loro tute».
Che cosavevano di speciale?
«Erano impermeabili e traspiranti. Così ho cercato un materiale che avesse quelle proprietà e ho trovato il teflon: ha milioni di forellini, più piccoli delle gocce dacqua. Il vapore però è 700 volte inferiore al volume di una goccia: perciò il vapore passa e lacqua no».
Unilluminazione...
«Il principio è stato poi elaborato nelle università italiane: le membrane dovevano resistere nei piedi, sopportare il peso ed essere flessibili. Oggi qui ci sono 15 ingegneri che studiano le membrane e le loro applicazioni. E così abbiamo eliminato quel grande problema che tutti conosciamo: la puzza dei piedi. Che fa ridere, ma non risparmia nessuno».
Lidea nel deserto, il coltellino, la Luna... Insomma è nato tutto così?
«Cè un altro passo fondamentale: ho subito brevettato la mia scoperta. E poi lho abbinata alla moda italiana».
Allinizio offrì la sua idea a molte aziende di calzature, ma nessuno accettò. È vero che la propose anche ai suoi vicini di Diadora, lazienda che oggi sta per comprare?
«Sì. Questa è una storia di successo, ma i primi passi sono stati difficili. Per tre anni ho cercato un partner».
Nessuno le ha creduto?
«Tutte le più grandi aziende hanno avuto sul tavolo questa tecnologia per qualche milione di vecchie lire. Oggi tutti vorrebbero la soluzione al problema dei piedi che soffrono, ma non la possono avere. Perché il brevetto è nostro».
E perché allepoca non hanno colto loccasione?
«Non hanno capito. Entravo in queste grandi aziende, spiegavo la mia idea e loro mi chiedevano: ma ci sono dei test? Ero sbalordito. Come potevano essere così miopi?».
Alla fine le è andata bene così...
«Be, piuttosto che buttare la mia idea nel cestino mi sono improvvisato io calzaturiero».
E come ha cominciato?
«Prima il nome, Geox: da geo, terra e poi una x, che suggerisce tecnologia. Poi ho scelto cinque giovani di Treviso, alcuni avevano appena finito di studiare. Ho detto: se credete in me diventerete dei grandi manager».
Che cosa dovevano fare?
«Uno la ricerca, uno produzione e stile, uno il marketing, uno lamministrazione, uno le vendite. Questo nel 95. Oggi lazienda ha 30mila dipendenti».
Quanti piedi sinfilano nelle sue scarpe?
«Lanno scorso abbiamo venduto oltre venti milioni di paia. Siamo il secondo produttore mondiale di calzature da città».
Non si imbarazza mai a parlare di piedi che puzzano?
«Mi è successo a Parigi e a Dubai, al salone del lusso. Cerano i migliori stilisti italiani e francesi. Tutti raccontavano le loro esperienze, e io la mia».
Ha raccontato dei piedi sudati?
«Alla fine ho concluso: È inconcepibile che uno spenda 500 euro per un paio di scarpe e poi si ritrovi i piedi che puzzano».
Erano daccordo?
«Hanno riso tutti alla grande. I francesi soprattutto. Ma solo per un minuto e mezzo. Poi sono impalliditi».
Ma lei porta solo le sue scarpe?
«Sono democratico, vorrei usarle tutte. Ma poi soffro e mi chiedo: perché?»
E qualche volta se le toglie e gira scalzo?
«Sì. In aereo. E sempre dove è possibile, in casa, in privato. Il piede nudo è la scarpa migliore».
Comunque, grazie alle scarpe, è diventato il quinto uomo più ricco dItalia. E nel mondo Forbes dice che è il numero 396...
«Vado spesso nelle università, al Mit, a Cambridge, a Mosca, alla Bocconi, alla Sorbona. Parlo della proprietà intellettuale: spiego ai ragazzi come gestire lidea, come passare dallintuizione al business. E mi chiedono: è vero che è così ricco?».
E che cosa risponde?
«Non so se lo sono. Lo sarò, se mi classificano così. Ma i soldi non sono lo scopo della vita: sono lo strumento per arricchire la mia cultura e per dialogare con persone importanti. Peres, Negroponte, Bill Gates».
Ha rapporti con tutti loro?
«Il principe Alberto di Monaco mi chiama al telefono, ha provato le nostre nuove scarpe sportive in anteprima. Mi invitano ogni anno a Davos e ai convegni di Forbes. Peres mi ha invitato a Gerusalemme per la visita del Papa, mi ha presentato e Benedetto XVI ha detto che mi conosceva...».
È vero che anche il Papa è fra i suoi clienti?
«Sì, in vacanza porta le mie scarpe».
Lavrebbe mai detto?
«Oggi per me è una missione: lumanità soffre per il male ai piedi. E io, con la mia valigia di cartone, dallItalia sto cambiando il mondo».
Non ha una visione un po troppo «mitologica»?
«Mi piace dare un segnale a questo Paese. Viviamo in un momento di recessione, il futuro è di chi innova i prodotti: gli italiani, con la loro fantasia, dovrebbero essere i primi a rilanciare leconomia».
Che cosa lo impedisce?
«Abbiamo la cultura di creare, ma non di gestire le idee».
A parte lavorare, che cosa fa? Nel tempo libero si diverte?
«Amo molto le moto. Le colleziono, le guido: mi fanno sentire libero, lopposto della mia vita quotidiana. Unaltra passione sono i cavalli: ne ho undici».
È vero che organizza anche la caccia alla volpe? Come i lord...
«La mia famiglia vive in questa meravigliosa villa veneta, Villa Sandi, circondata dai vigneti. È stata costruita nel 600, ci sono le nostre cantine ed è anche aperta al pubblico. Organizziamo incontri per amatori di Ferrari e di auto e moto depoca. E un trofeo di caccia alla volpe. Ma non uccidiamo nessuno».
E la volpe che fine fa?
«È una simulazione: cè un cavaliere che si nasconde nel bosco con una coda di volpe, vince chi lo scova per primo».
In unintervista sua moglie ha detto che è un egocentrico. Conferma?
«Non so. Forse il mio difetto è che non riesco a fermarmi. Quando invito i miei amici in vacanza storcono il naso».
Che cosa combina?
«Dicono che non vanno in crociera ma in crociata. Ma io mi muovo sempre, sono un inventore. Ai ragazzi dico: unidea vale più di una fabbrica».
Un idolo?
«Bill Gates. Come me è partito da zero, come me, allinizio, non è stato creduto da nessuno. Come me vuole restituire una parte delle sue ricchezze, aiutare gli altri».
Ha ancora qualche sogno da realizzare?
«Vorrei diventare uno dei più grandi produttori di scarpe al mondo. E anche di abbigliamento: abbiamo appena creato le giacche che respirano».
Così ricco e di successo, cè qualcuno che invidia?
«Chi ha una cultura superiore alla mia. E poi ricordo la massima di Churchill: il successo non è mai definitivo».
È vero che se le viene unidea sveglia sua moglie in mezzo alla notte?
«La mente non ha orari, non si ferma come unautomobile. A volte le idee mi vengono di notte, così me le segno: non si sa mai».
E sua moglie che dice?
«È diplomatica, è console del Principato di Monaco a Venezia».
Quindi è diplomatica anche a casa?
«Dopo tanti anni siamo ancora sposati... Si riaddormenta».
È veneto e produttore di vini, non è che è anche cuoco?
«Mi piace cucinare, anche se ci vuole tempo.
Dicono che disegni anche i suoi occhiali...
«Sì. Ne avrò una cinquantina. Io li immagino, poi cè un artigiano che li realizza. Mi diverto».
È solo un hobby?
«Sì. Per ora».
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