Il giorno fondamentale della storia di Gianfranco Fini fu quello in cui, avendo avuto il coraggio di candidarsi a sindaco di Roma contro Francesco Rutelli, si sentì dire da Berlusconi che avrebbe avuto il suo voto. Fu un giorno decisivo, sia per Berlusconi che per Fini. Berlusconi divenne il «cavaliere nero». Prese la decisione fondamentale di passare oltre la pregiudiziale antifascista, che, del resto, Bettino Craxi aveva già superato ricevendo, come presidente del Consiglio, il giovane segretario del Msi.
Innanzi a Fini si aprì l’occasione storica di presentarsi come leader del centrodestra, e di farlo come persona, al di sopra del suo partito. Berlusconi era il modello: e quindi Fini doveva trasformare il partito di destra in un partito a misura berlusconiana, accentrandone l’identità nel volto del leader. Vi riuscì bene perché poté imporre al suo partito, che aveva una storia culturale ricca e generosa, la sua unica leadership.
Il problema di Fini divenne quello di essere berlusconiano senza diventare uno dei berluscones. È stato un compito aspro e difficile, in cui ha mostrato le qualità del leader politico. Ha dovuto abbandonare il giustizialismo e la simpatia per Di Pietro, ora rinverdita, appoggiare Berlusconi e far fronte all’assalto della magistratura milanese. Al tempo stesso, doveva perseguire la differenziazione da Berlusconi.
La base del partito missino era a Roma e nel sud, mentre la base storica di Berlusconi stava al nord, vicino alla Lega. La storia di Berlusconi era assai diversa da quella di Fini, quasi opposta. Berlusconi però rappresentava due temi fondamentali: l’alternativa al dominio comunista dello Stato e l’inserimento dell’economia italiana nel mercato globale. Il fine politico di Fini divenne quello della fusione di An con Forza Italia in un partito unico, che avrebbe condotto Berlusconi al governo e fatto di Fini il leader del partito.
Se era facile per il popolo di An accettare Berlusconi come leader del Polo e della Casa delle libertà, era impossibile per il popolo di Berlusconi accettare Fini come leader di un partito unico. Si potevano combinare le esigenze dei partiti, ma non si poteva combinare la differenza dei popoli.
Il popolo di Berlusconi stava soprattutto al nord, dove la memoria antifascista era assai diversa da quella del sud e anche da quella di Roma. Nel nord vi era stata una guerra civile e questo creava una diversa sensibilità. Il nord non poteva accettare che il leader del Msi diventasse il leader di tutta la storia democristiana e socialista, che l’aveva preceduto. Fini sperava quel che Berlusconi non poteva concedere. E da questo è dipesa la scelta del leader di Forza Italia di accettare il negoziato sul proporzionale col Partito democratico e di far nascere il nuovo partito del Popolo della libertà.
La scelta di Berlusconi ha sorpreso Fini. Durante la lunga collaborazione nella Casa delle libertà, Fini aveva cercato di ottenere una legittimazione a sinistra, sia sul piano dell’intesa laica sia, soprattutto, sulla questione ebraica. Aveva cercato una legittimazione propria, distinguendosi in molte occasioni da Forza Italia. Dalla scelta inaspettata di Berlusconi, Fini è stato indotto a reagire in modo clamoroso sino a minacciare di fare ostruzionismo contro il vassallum. E la speranza di Fini è quella del referendum sulla legge elettorale, che potrebbe obbligare Berlusconi, se esso fosse approvato, ad allearsi con An.
Dinanzi a noi è un tempo molto incerto, ma i rapporti fondamentali tra Forza Italia o il Popolo della libertà e Alleanza Nazionale o Alleanza per l’Italia non potranno rimanere sul livello della rottura, ma dovranno trovare un punto di intesa. È possibile che il Partito democratico accetti la trattativa con Berlusconi come elemento fondamentale o cerchi di usare la trattativa elettorale e sulle riforme costituzionali per condurre la legislatura al 2009 con il governo Prodi.
Sembra impossibile che il governo, diviso com’è, possa durare. Nel caso si dovesse andare al voto col proporzionale, Fini sarebbe costretto, soprattutto in questo caso, a definire An non contro Berlusconi ma accanto a lui.
Alleanza per l’Italia, il nome con cui Fini vorrebbe ribattezzare Alleanza nazionale, è la mimesi di Forza Italia. Ciò è tanto più significativo perché Berlusconi non condurrà Forza Italia alle elezioni, ma il Popolo della libertà. Per Fini si tratta di diventare più berlusconiano di Berlusconi e, al tempo stesso, riprendere i temi fondamentali per la destra: sicurezza, legalità, giustizia sociale, nessun cedimento su temi eticamente sensibili. Da laico come si era proposto di essere, sarebbe obbligato a diventare politicamente cattolico. Diventerebbe così un naturale alleato del Popolo della libertà e, da alleato, potrebbe far valere i titoli che gli vengono dalla sua qualità politica.
Nell’anno difficile che il Paese attraversa, il centrodestra dovrà definirsi come alternativo alla sinistra e, al tempo stesso, capace di chiudere la guerra civile che la delegittimazione di Berlusconi, compiuta dalla variopinta coalizione di governo, ha posto come centrale nella politica del Paese. Il futuro è incerto, ma il partito di Berlusconi e quello di Fini non sono alternativi: troveranno la loro forma di collaborazione.
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