L’involtino primavera conquista le tre stelle

Ci risiamo, ma la colpa non è dei nostri cugini: la Michelin fa benissimo il suo mestiere, che è quello di celebrare la grandezza della cucina francese, siamo noi italiani che non sappiamo fare altrettanto con la nostra. È uscita la guida a Hong Kong e Macao, oggi Cina, ieri una colonia inglese e l’altra portoghese, e dell’Italia non vi è traccia, se non a livello di citazioni.
Guida numero 26 (e nazione numero 23), la prima fu quella francese nel 1900 e la seconda quella italiana 56 anni dopo, ha scatenato la gioia della madre patria (Joel Robuchon sugli scudi, torna a essere premiato con tre stelle, a Macao, per un totale astronomico di 24 qua e là nel mondo) e quella del Paese ospitante che a Hong Kong applaude il Lung King Heen, in italiano Vista del drago, primo cinese tristellato, una autentica macchina da guerra perché all’interno del Four Seasons non serve solo una raffinata e moderna cucina cantonese di mare, ma si preoccupa di ogni specialità e momento della giornata, colazioni comprese.
Se Robuchon, 64 anni ad aprile, ha saputo reinventarsi genio del marketing ristorativo dopo essersi ritirato a 48 dal servizio cucinante permanente e effettivo, i vertici della Rossa gongolano per avere messo a segno l’ennesimo colpo mediatico, rappresentato dall’altro tre stelle, quello cinese (ora sono 72 nel mondo, cinque in Italia) e fatto imbufalire noi, che è un po’ come togliersi uno sfizio in più quando tutto è deciso.
Che fosse successo qualcosa lo si è capito presto, a patto di essere collegati in internet al forum del Gvci, il Gruppo virtuale cuochi italiani (sottinteso nel mondo), lo stesso di Emanuele Lattanzi, il cuoco-eroe di Mumbai. Oltre ottocento persone collegate e alla notizia che non c’erano ristoranti italiani stellati, è esplosa l’indignazione di tanti attraverso una e-mail intitolata «stelle e stalle». Ha scritto il giornalista Rosario Scarpato, che si divide tra Argentina e Australia ed è cofondatore del gruppo: «Adesso non ci sono dubbi: la Michelin ha premeditatamente pianificato l’esclusione dei ristoranti italiani in Asia dalla zona delle stelle. È una vergogna e anche una forma di concorrenza sleale. Bisognerebbe fare qualcosa. Ma forse così si sono fatti male da soli. Dopo la pubblicazione della guida HK-Macao, senza italiani in zona stelle, chi crede più nella loro indipendenza?».
Se è per l’indipendenza non ci ha mai creduto nessuno, ma è giusto che sia così perché ognuno deve difendere la sua causa. Piuttosto è curioso notare come per la prima guida cinese, la Michelin ha impegnato sul posto una dozzina di ispettori. Tra loro due cinesi e un italiano, distaccato in Asia e distratto per una volta dalla cura delle insegne nostrane. Magari avrà anche segnalato questa o quella realtà verde bianca e rossa, ma tutto è presto caduto nel vuoto.
Sempre meglio che due anni fa in vista del debutto della pubblicazione dedicata a Tokyo, un’autentica bomba perché tutti i posti recensiti avevano almeno una stella e nessuno era italiano così come gli 007 erano solo francesi e giapponesi. Un’esclusione a priori un po’ perché il successo economico della cucina italiana nel mondo, non necessariamente preparata da cuochi italiani e con ingredienti originali, dà fastidio all’industria turistico-alimentare francese, e dall’altra perché quando loro giudicano vanno oltre quello che c’è nel piatto e fissano standard d’insieme che ci penalizzano. Da qui la difficoltà di emergere quando il giudice ultimo è francese.


Però in attesa che tra alcuni decenni possa esserci una guida italiana altrettanto importante e decisiva, è passato quasi sotto silenzio che nella nuova edizione di Tokyo l’Italia ha fatto capolino visto che otto posti hanno due (Argento Aso e Ristorante Aso) o una stella a iniziare da Bice per arrivare a Faro, passando per Piatto Suzuki, Aroma-Fresca, Ristorante Honda e La Primula. Quasi una elemosina, ma i primi a farsi del male siamo noi.

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