Doveva morire e nel modo più atroce: lapidata. E invece Sakineh è salva. Libera. Con suo figlio Sajjad Qaderzadeh e con l'avvocato Javid Hutan Kian.
A dispetto di una condanna che le autorità iraniane ritenevano irrevocabile e che si temeva dovesse essere eseguita da un momento all'altro, in un susseguirsi di voci e di annunci angoscianti. Sakineh mandata a morire perché adultera e perché coinvolta nell'uccisione del marito, Sakineh già punita con 99 frustate per comportamento immorale e già perdonata dai parenti del marito, ma tenuta lo stesso in carcere. Sakineh, una delle tante donne condannate a pene crudeli nei Paesi islamici fondamentalisti - sia sciiti che sunniti - per infedeltà coniugale.
Sebbene i contorni della sua vicenda non siano stati chiariti del tutto, in un susseguirsi di ricostruzioni spesso confuse, questa donna iraniana oggi 43enne è diventata l'emblema di una battaglia di civiltà. Per lei si sono messi i governi di mezza Europa, a cominciare da quelli italiano e francese, nonché organizzazioni come Amnesty International e Human Right Watch, che da mesi premono sulle autorità di Teheran.
Nel 2006 fu arrestata per adulterio e subito frustata; pochi mesi dopo fu accusata di avere una relazione con l'assassino di suo marito e per questo di nuovo messa sotto processo per adulterio e per complicità nell'omicidio. Nel 2007 la Corte suprema la condanna alla lapidazione, ma l'esecuzione viene rinviata. Nel 2010 altra condanna per impiccagione, in seguito a una confessione, che con ogni probabilità è stata strappata con la tortura.
Per gli occidentali le accuse a suo carico sono infondate, per gli iraniani Sakineh è un'omicida che merita di morire, come accade in altri Paesi, anche occidentali, che non hanno abolito la pena capitale.
Il giorno X era stato fissato per il tre novembre, ma proprio le pressioni dell'Occidente avevano indotto Teheran a rinviare l'esecuzione, ma non ad annullarla. Il copione sembrava già scritto: le autorità iraniane avrebbero approfittato di un momento di distrazione dell'opinione pubblica internazionale per chiudere definitivamente il caso. E invece
Aa annunciare al mondo la liberazione, avvenuta mercoledì, è stata Mina Ahadi, presidente del Comitato internazionale contro le esecuzioni, la cui sede é in Germania.
Per quanto sorprendente, la notizia è ufficiale. Sono stati rilasciati anche due giornalisti tedeschi arrestati assieme al figlio e all'avvocato durante un'intervista. Il comitato non ha potuto mettersi in contatto con Sakineh, che però è stata vista nel giardino di casa a Tabriz, nel nord ovest dell'Iran. E l'Italia è stato uno dei primi Paesi a reagire, per una volta all'unisono. «È una vittoria di tutti», hanno dichiarato il ministro Frattini e quello delle pari opportunità Carfagna, evidenziando l'impegno del nostro Paese.
Ma perché la Guida Suprema Khamenei ha firmato la grazia? Per ora é un mistero; anche se non è difficile intuirne le vere ragioni, che portano dritto a Wikileaks. Dalle email del Dipartimento di Stato è emerso che l'opzione militare, da tempo negata dall'Amministrazione Obama, in realtà è ancora sul tavolo. Anzi, è sollecitata non solo da Israele, ma anche da Paesi islamici come l'Arabia saudita. Dunque non è affatto remota.
Il messaggio non è certo sfuggito al governo di Teheran, il quale temendo che un blitz possa essere prossimo, ha ritenuto prioritario abbassare il tono del confronto con l'Occidente. E dunque, ha preferito perdonare Sakineh pur di non offrire il destro a scontri mediatici in grado di creare il clima propizio all'intervento militare.
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