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L’ITALIA CHE NON FUNZIONA

La prossima volta che vi accomodate ai tavolini esterni di un bar, guardatevi intorno. Osservate i dettagli: le sedie, l’ombrellone parasole, le fioriere, il menu scritto col gesso sul treppiede. Guardate, e dedicate qualche secondo a questo pensiero: perché io potessi gustare questo caffè sotto il sole, c’è chi è dovuto scendere all’inferno. Perché sappi, caro Kafka, che in confronto alle fortezze della burocrazia italiana, i tuoi tribunali sono placidi come delle bocciofile.
Tre tavolini da sistemare fuori, per aumentare un po’ i posti a sedere, per intercettare magari qualche turista: questo sognava, l’aprile scorso, la titolare di un bar nel centro di Perugia. Ma in Italia anche i desideri più semplici - almeno per chi decide di seguire le regole - devono passare sotto il giogo di pratiche, bolli e delibere. La signora lo sa bene, e chiede a un architetto (nonché vicino di casa e amico) di prepararle la pratica. L’architetto accetta. Ed entra nell’incubo. Oggi quei tre tavolini ci sono, e il delirio affrontato per averli è diventato un articolo, a firma dello stesso architetto, Luigi Fressoia, sul periodico Perugia, Italia.
Ottenuto l’incarico, Luigi si mette di buona lena al lavoro per preparare la Dia (dichiarazione inizio attività). Disegna in pianta le pedane in legno sulle quali dovrebbero poggiare i tavolini; elabora dei fotomontaggi per rendere meglio l’idea; allega fotografie - non espressamente richieste, ma Luigi è un professionista scrupoloso - di esemplari di stile (ferro battuto con volute liberty). Il tutto oltre alla documentazione standard: le planimetrie di inquadramento, il piano regolatore e similari. Nel giro di due giorni Luigi è al Comune di Perugia: sotto il braccio il suo lavoro e in mano una marca da bollo da 14,62 euro, oltre ad altri 60 euro per le spese di segreteria. L’obiettivo è semplice: ottenere un’autorizzazione ambientale. «Manca la domanda all’Asl per l’autorizzazione alla somministrazione di cibo e bevande all’esterno e la domanda ai vigili per l’occupazione di suolo» sancisce il funzionario comunale.
Luigi quindi va all’Asl, ottiene un modulo e un bollettino da pagare: altri 114 euro. Poi va alla caserma dei vigili. Una gentile funzionaria gli chiede un’altra marca da bollo prima di spiegargli che lei la sua domanda non può accettarla, perché «manca l’autorizzazione ambientale». Luigi le spiega che è proprio per ottenere l’autorizzazione ambientale che dal Comune l’hanno mandato lì. La funzionaria riflette, sbuffa e fa uno strappo alla regola. Luigi esce dalla caserma, torna in Comune e consegna tutto. È soddisfatto. Il più è fatto. Ora c’è solo da aspettare un po’.
Il po’ si tramuta in un mese e mezzo. È maggio inoltrato quando finalmente Luigi, dopo innumerevoli telefonate, scopre che la sua pratica è ferma alla Commissione comunale Paesaggio. «E perché?» domanda Luigi. «Manca l’autorizzazione della Sovrintendenza dei Beni culturali» spiega il funzionario. «Per tre tavolini? Ma li metto in strada, mica in un museo», commenta Luigi; ma la sua è solo logica, quindi senza effetto contro il moloch burocratico. A Luigi non resta quindi che andare alla carica della Sovrintendenza. «La pratica è in fase d’istruttoria», gli rispondono alla prima telefonata. «È stata mandata dall’architetto per la firma» alla seconda. «È alla firma del Sovrintendente» alla terza. «È al protocollo d’uscita» alla quarta. «È alla Sovrintendenza archeologica» alla quinta. Luigi esplode: «Ma che c’entra l’archeologia coi miei tre tavolini?». «In quella zona c’è il vincolo archeologico» la risposta. «Sì ma io mica scavo!». «C’è il vincolo ar-cheo-lo-gi-co» compita il funzionario. Burocrazia contro logica, due a zero.
I giorni passano, Luigi è sempre più angosciato e la barista, che nel frattempo ha dovuto pagare altri 500 euro tra bolli e bollettini, si affaccia triste alla soglia del bar sognando i tavolini. Alla fine, all’inizio di luglio, tre mesi dall’inizio di tutto, dal Comune arriva la telefonata: «la pratica è pronta, manca solo l’ultima firma, del dott. R.». «Oggi la firmo», assicura il dott. R. a Luigi, che l’ha subito cercato al telefono. «Oggi la firmo», ripete il giorno dopo. E il giorno dopo ancora. E ancora. È il 9 luglio quando Luigi entra di forza al Comune. Individua il funzionario, gli porta di propria mano la pratica. Ottiene la firma. Ottiene l’autorizzazione per i tavolini. Esce trionfante dal Comune. E va a prendersi un caffè.

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