Quando mi hanno detto che il mio nuovo romanzo La ragazza di Vajont non poteva concorrere a nessun premio letterario di questanno perché era uscito troppo tardi, mi sono sentito male. Non che pensassi davvero di vincerne qualcuno. Però la penalizzazione mi è sembrata lo stesso ingiusta. Il fatto è che i premi fanno sentire bene lautore premiato. Se lautostima facesse crescere in altezza, un Campiello o uno Strega, per dire, ti portano in un attimo da 180 centimetri a due metri. E anche i premi cosiddetti minori aiutano.
Questanno mi sono rovinato le ferie leggendo le cronache dei principali premi letterari e pensando che ne ero escluso a priori. Mi sentivo come un ferito di guerra che leggendo sui giornali di una grande avanzata ha voglia di tornare al fronte. Lunica cosa buona è che la mia esclusione tecnica mi ha fornito una prospettiva abbastanza distaccata e potenzialmente equanime. In altre parole, mi sono sentito meno astioso quando in finale a un premio prestigioso arrivava qualche romanzo di quelli che il padre Dante avrebbe icasticamente definito «libri di merda».
A riscuotermi dalla mia inconsueta atarassia è arrivata purtroppo, due giorni fa, la telefonata di un amico. Me ne stavo in riva al mare, coi piedi immersi in dieci centimetri dacqua più o meno limpida. Un uccello che poteva anche essere un cormorano mi guardava da uno scoglio. «Sai», ha esordito il mio amico, «che la città di XYZ attribuisce ogni anno un prestigioso premio letterario». Non lo sapevo, ma mi sembrava maleducato dirglielo. E comunque sulla mia testa, già alla parola «premio», si stavano allungando due antenne telescopiche. «Premiamo i migliori romanzi usciti nel corso dellanno... ». La mia altezza stava aumentando. «Io dovrei presentare il vincitore. Così... ». La mia voce è uscita involontariamente tremula: «Sì...? ». «Mi chiedevo se avevi letto il romanzo che ha vinto. È quello di Giordano. Quello sulla solitudine dei numeri. Perché io non sono mica riuscito a finirlo».
A quel punto la mia statura è iniziata a calare.
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