L’Italia non cambia, riecco il tormenTotti

Franco Ordine

nostro inviato a Ginevra

Prepariamoci alla Totteide. È pronto, non è pronto, bisogna farlo giocare per migliorare la performance, no sarebbe opportuno lasciarlo fuori in attesa che decolli verso picchi di rendimento decisivo, lui si metterebbe in campo contro il Ghana, alla prima, delicata e decisiva sfida mondiale dell’Italia, il 12 giugno. È solo uno dei primi capitoli scritti nella quiete apparente di Ginevra dove l’Italia di Lippi, attraversata da improvviso benessere psicologico, risulta già fuori dal tunnel dello scandalo e con la testa sintonizzata sul mondiale. Marcello, che è poi il regista della Totteide, volto sorridente e disteso, sembra quasi divertito dalla piega della questione, tira fuori il fischietto da lavoro per dare inizio alla conferenza-stampa, respinge gli assalti dei cronisti che lo interrogano sulle diverse opinioni espresse in materia per incassare orientamenti in vista del Ghana e lascia sospese nelle viscere dello stadio del Servette le prossime, impegnative scelte.
Totti salta la prima, il pronostico del vostro cronista ma nel frattempo il ct prende tempo. «Io sono soddisfatto della sua resa, ogni giorno in più è un giorno guadagnato al programma di recupero, lui risponde bene e si sente meglio. Più gioca e più acquista forma, d’accordo, ma è prematuro dire se utilizzarlo o meno durante la prima sfida, 2-3 partite gli servono per salire di condizione, ogni allenamento fatto bene è una iniezione di fiducia» le risposte in pillole dettate da Lippi e che compongono la Totteide giornaliera che pure non scava particolari tensioni, anzi le alleggerisce perché concentra i riflettori su una sola sagoma, su un solo calciatore, su un solo campione, tenendo gli altri, tutti gli altri, da Buffon a Del Piero, da Pirlo a Camoranersi e Toni, al riparo da tormenti e giudizi feroci.
«Una squadra può diventare grande se ciascuno dei suoi componenti dovesse convincersi che non conta giocare la prima o la seconda, entrare subito o in corsa, conta invece sentirsi tutti importanti e tutti attori di un identico progetto», la filosofia di Lippi applicata al mondiale e al club Italia è uno di quei dettagli che possono trasformare la sua Nazionale di gente comune in una vera armata calcistica.
I bei propositi del Ct e i discorsi impegnativi restano sulla carta se alla fine di un martellante botta e risposta, appena si chiudono i taccuini, e si accendono le lampade e i microfoni delle tv, la Totteide non riprendesse. «Per me non è un tormentone», riferisce sincero Lippi che spiattella un paio di cifre che pure qualche senso devono dare alle sue parole, alla sua cautela. «Nei miei due anni di Nazionale, ho avuto a disposizione Totti 7 volte su 21 partite», ricorda e anche stasera, contro l’Ucraina, secondo e ultimo test di un certo spessore, il romanista parte dalla panchina per completare nell’ultima mezz’ora il rodaggio, dando il cambio a Del Piero, destinato a rimpiazzarlo anche col Ghana, se nel volgere di due settimane, la condizione complessiva non dovesse migliorare in modo sensibile. «Totti come Paolo Rossi al mondiale di Spagna?», insistono. E Lippi, che pure garantisce di non essere scaramantico, sotto sotto se lo augura così come accarezza la striscia della sua imbattibilità giunta a quota 17 che è un numero non particolarmente gradito alla confraternita del pallone, «ne prendo atto e non tocco ferro» la sua chiosa distaccata, sintomo di uno stato d’animo in evidente recupero. Il Marcello Lippi fosco e limaccioso di qualche giorno fa sembra inghiottito da un secolo di distanza.
Dev’essere merito dell’accoglienza entusiasta del popolo tricolore, mercoledì sera, a Ginevra, oppure dello share televisivo (8 milioni) raccolto in Italia, «fa piacere» puntualizza. O ancora dei segnali positivi che arrivano da alcuni esponenti della sua Nazionale, Gilardino per esempio, «da noi fa sempre gol», o delle paturnie di Del Piero («se l’è presa col quarto uomo») passando attraverso la fragilità emotiva mostrata dagli azzurri al cospetto dei rozzi interventi svizzeri. «Abbiamo risposto in modo sbagliato» è la sua stroncatura che pone all’ordine del giorno l’argomento. «Fossimo stati al mondiale ci sarebbero state parecchie espulsioni» sentenzia Lippi, consapevole di quel che si rischia.

Dice il vecchio saggio: fingi una virtù se non ne hai. Il ct si mostra paziente anche se, dietro le quinte, si lascia divorare dall’ansia e dalla voglia di ritrovarsi oggi, domani, subito, a Duisburg a preparare un mondiale che è una specie di liberazione.

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