L’Obama pallido che rinforza l’Iran

Per costare 20 miliardi di dollari l’anno, l’Onu è produttivo: riesce infatti a rappresentare veridicamente la pericolosa confusione in cui versa oggi la politica mondiale. A ogni Assemblea Generale, la cui maggioranza è costituita da Stati non democratici, gli Stati Uniti rappresentano sempre agli Stati membri i loro buoni sentimenti, e ieri una quantità enorme di buona volontà è stata disegnata nel discorso di Obama. Il presidente è apparso ispirato da grandi cause umane e civili in maniera un po’ esagerata e astratta: ha dedicato un terzo del suo (...)
(...) tempo alla certezza che entro un anno si possa raggiungere la soluzione del conflitto medio orientale, non si capisce se per irresponsabilità dei suoi consiglieri o per un suo sogno di onnipotenza. Ha opinato “accountability” delle classi dirigenti, società civile al potere, diritti umani, condizione femminile, inizio dello sgombero dell’Afghanistan... E poi ancora; sconfiggeremo Al Qaida; mano tesa con l’Iran, mentre «abbiamo intrapreso una nuova politica mondiale e quindi nessuno si aspetti che gli Usa agiscano autonomamente, solo il rapporto multilaterale col mondo emergente disegnerà la nostra politica».
Manca a questo banchetto di ottime intenzioni un ospite indispensabile: la realtà, lo sfondo praticabile davvero per quella lunga politica di pace che Obama auspica. Fisicamente questa assenza era rappresentata dalla sedia vuota dell’Iran, dato che Ahmadinejad, peraltro molto presente col suo discorso qui e all’assemblea del millennio, ha deciso che i media sarebbero stati più affascinati dalla sua assenza. Occorre qui aggiungere a scanso di equivoci che anche Israele era assente, ma solo perché la festa di Sukkot, ieri al suo secondo giorno, prevede la totale astensione da ogni attività lavorativa, gli spostamenti, l’uso di microfoni.
Questa sessione degli “Obiettivi del Millennio” e dell’Assemblea Generale è stata di fatto angosciosamente dominata da Ahmadinejad, presente col suo inedito linguaggio di odio per la terza volta: il presidente iraniano ha incontrato di fatto grande legittimazione internazionale, nell’indifferenza dell’Onu alla sua aggressività, nel debole discorso in Obama e anche nel sistema di comunicazione degli Usa e dell’Onu (con la foto di Ban Ki Moon e la sua paradossale falsa normalità della stretta di mano), specie con i tappeti rossi offertigli dai famosi programmi di Christiane Amanpour e di Larry King. Sul piano diplomatico, sembra certa l’apertura di un canale segreto fra Usa e Iran, e persino di un possibile incontro faccia a faccia fra Obama e Ahmadinejad, che lo ha appena accusato di essere presidente di un sistema morente e che gli ha promesso, di fatto, una guerra terribile e definitiva se qualcuno cercherà di fermare la preparazione della bomba atomica.
Ahmadinejad è giunto in America carico di problemi e fratture interni, passando prima dalla Siria e preparandosi a un infiammato viaggio in Libano proprio per rafforzare in patria la sua posizione. Ma, paradossalmente, è stato in America che il suo consueto elenco di odio e di bugie (l’attuale governo mondiale, si sottintende dominato dagli Usa, ha detto Ahmadinejad, è causa di tutte le piaghe del mondo; una guerra che coinvolgesse l’Iran vi farebbe pentire di essere nati; Israele sparirà dal Medio Oriente; io antisemita? E quando mai; la Shoah? Una chiacchiera strumentale; Netanyahu, un esperto assassino; la condanna di Sakineh, un’invenzione...) ha trovato legittimazione e quindi il migliore scudo. A casa sua Ahmadinejd fronteggia una situazione in cui il fronte dello scontro si è spostato fra i duri prima uniti contro la richiesta di democrazia della piazza. Adesso che Khamenei pensa che la macchina repressiva abbia vinto, si è schierato contro Ahmadinejad alla testa di clerici e bazaar impoveriti, mentre Ahmadinejad punta su esercito e Guardie della Rivoluzione e sulla fama di stratega che porterà l’Iran alla leadership dell’islam e alla vittoria sugli infedeli.

Mentre predicava il suo credo all’Onu, la commissione delle Nazioni Unite incaricata di giudicare l’episodio della flottiglia turca diretta a Gaza, condannava Israele giudicando, mentre tutto il mondo ormai sa che si è trattato di un agguato estremista, che abbia abusato di tutti i diritti possibili. Soprattutto di quello di voler vivere.

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