L’Onu resta una tigre di carta

Livio Caputo

Domanda da un milione di dollari: l’Onu, stella polare della politica estera di Prodi e D'Alema, è veramente in grado di mantenere l'ordine mondiale, approvando e soprattutto applicando risoluzioni incisive, o a causa delle sue divisioni sta tornando ad essere quella tigre di carta, paralizzata dai contrasti e dai veti incrociati, che era ai tempi peggiori della guerra fredda? Se esaminiamo il ruolo delle Nazioni Unite nelle quattro maggiori crisi del momento, lo scetticismo è d'obbligo: sembra ormai diventata una consuetudine che Cina e Russia, due delle cinque potenze dotate di diritto di veto, si oppongano in nome dei propri interessi ad ogni proposta di intervento che abbia una qualche possibilità di successo, e che non sempre i rappresentanti europei si muovano all'unisono con gli americani anche quando ne condividono gli obbiettivi. Ma vediamo, caso per caso, che cosa sta succedendo.
Corea del Nord. Nelle ore successive al test nucleare di Pyongyang, sembrava che la condanna fosse davvero unanime, perfino nel linguaggio. Ma quando gli Stati Uniti hanno proposto una risoluzione contenente sanzioni molto severe nei confronti del regime coreano, compreso un riferimento al capitolo VII che prevede un possibile ricorso alla forza, Russia e Cina hanno subito tirato il freno, sostenendo che non si trattava di punire Kim Jong-Il, ma di indurlo a tornare al tavolo dei negoziati. Washington ha presentato allora una seconda bozza - molto edulcorata rispetto alla precedente - con l'obbiettivo di vararla in settimana, ma Mosca e Pechino hanno preteso un ulteriore round negoziale che finirà con il produrre un documento magari ricco di parole, ma povero di fatti, che non avrà alcun effetto pratico sulla vertenza. È a priori molto difficile trovare strumenti capaci di influire sull'ultimo regime stalinista, abituato all'isolamento e con pochissimi rapporti con mondo esterno: ma gli unici che potrebbero funzionare, cioè l'interruzione di forniture di energia e di prodotti alimentari da parte sia della Cina, sia della Corea del Sud sono esclusi a priori. Non per nulla il Giappone, capita l'antifona, ha deciso di varare senza indugio proprie sanzioni, indipendentemente dall'Onu.
Libano. Il Consiglio di Sicurezza ha adottato recentemente due risoluzioni, la 1559 e la 1701, che prevedevano una serie di misure molto incisive, prima fra tutte il disarmo delle milizie. Esso ha deliberato anche il rafforzamento dell’Unifil, cui l'Italia ha dato un contributo decisivo. Il problema è che i Caschi blu presenti sul terreno non fanno affatto quello che in origine si pensava dovessero fare, e che già adesso sotto i loro occhi l'Hezbollah sta consolidando la sua presa sul territorio e procedendo al riarmo. Per il mantenimento della pace, l'Onu dipende in realtà dalla sua buona volontà (e dalla pazienza di Israele nell'accettare questo simulacro di peacekeeping).
Iran. L'ultimatum del Consiglio di Sicurezza a Teheran perché sospendesse il processo di arricchimento dell’uranio è scaduto senza che nulla accadesse, e neppure il dibattito in programma la prossima settimana al Consiglio di Sicurezza arriverà a produrre quelle sanzioni sempre minacciate, ma mai applicate: anche in questo caso, Cina e Russia, con qualche ammiccamento da parte europea, vi si oppongono, per continuare a dare spazio a una trattativa diplomatica che si trascina senza risultati da tre anni e che gli ayatollah portano avanti solo per guadagnare tempo e proseguire nel frattempo con il loro programma. Ormai, i diplomatici più realisti si stanno rassegnando all'idea che l'Onu non dispone degli strumenti per impedire all'Iran di diventare, se lo vorrà, una potenza nucleare, e che continuare nel balletto delle sanzioni-non sanzioni rischia solo di gettare ulteriore discredito sull'Organizzazione.
Darfur. Il CDS ha già votato una risoluzione per inviare un corpo di spedizione di Caschi blu nel Sudan occidentale, dove una faida tra tribù arabe e tribù nere - peraltro anche loro musulmane - ha fatto in quattro anni 200.000 morti e quasi due milioni di profughi. Diecimila uomini inviati dall'Organizzazione per l'Unità africana si sono rivelati impotenti a fermare il genocidio e avrebbero bisogno di rinforzi. Il problema è che le solite Russia e Cina hanno preteso una clausola che richiede l'approvazione dell'intervento da parte di Khartum. E dal momento che i sudanesi hanno già bollato la risoluzione come un'indebita ingerenza nei loro affari interni, tutto è fermo e la gente nel Darfur continua a morire.
Si può sostenere che se l'Onu non prendesse neppure le iniziative che prende, le cose andrebbero ancora peggio.

Tuttavia, passare di fallimento in fallimento può dare un colpo mortale alla sua credibilità; il nuovo segretario generale, il sudcoreano Ban che subentrerà a Kofi Annan il 1° gennaio, avrà davvero un compito da far tremare le vene e i polsi.

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