L’orgoglio di Verdini: «Mai preso un euro non mi dimetterò»

Roma«La mia verità è la verità. Non lo dico per presunzione, ma perché è quello che ho vissuto. Io non ho fatto nulla. Mi dichiaro colpevole del nulla. Rispondo a tutte le vostre domande. Prego». Alzata di mano, microfono, risposta. Microfono, domanda, risposta. Come un domatore di leoni Denis Verdini entra nell’arena senza scudo. Fuoco di giornalisti. Tg3, Unità, il Fatto. Verdini non fa una piega. Sorriso cordiale e ruvido, aperto ma non compiacente, da toscanaccio. Ogni tanto qualche rimprovero: «Non faccia premesse, vada con la domanda!». Assegni, conti, amicizie, eolico, P3. Carboni, conflitto d’interesse, il Credito cooperativo fiorentino, Dell’Utri. «Non ho preso soldi, ma li ho persi». «Di eolico non ci capisco nulla. Non è la mia materia». «La P3 non so cosa sia. E nessuno mi ha mai chiesto di affiliarmi». «Gli assegni li ho versati e non li ho intascati». «La banca ha i conti a posto, non manca un soldo». «Il conflitto d’interesse me lo rimprovera mia moglie. Per i soldi di famiglia che mettiamo nel giornale (Il Giornale della Toscana, ndr)». «Dell’Utri è un amico fraterno e non lo scarico». E Fini? «Mi è parso sgarbato da parte sua chiedere le mie dimissioni mentre ero sotto interrogatorio. Non mi ha difeso. Prego, chi ha chiesto di fare la domanda?». Microfono. E Bocchino? Legge un lancio di agenzia che gli viene passato in diretta: il parlamentare finiano gli consiglia di farsi controllare da un analista perché «non è più in condizioni psicologiche». «Mi ha detto di andare dallo psichiatra? Se me ne consiglia uno ci vado volentieri così chiacchiero un po’. Prego». Microfono. Quanto ha messo nel suo giornale? «Quattro milioni. Prego». Quanto vende il suo giornale? «Dalle 13mila alle 20mila copie». Da quanto tempo conosceva Carboni? «Dal maggio del 2009».
Il ping pong ipnotizza, la sala è gremita. Non è solo una conferenza stampa. È uno spettacolo, per le circostanze, le coincidenze, che si creano. Arriva gente del partito: il portavoce Daniele Capezzone, il collaboratore del premier Giorgio Stracquadanio. C’è anche Daniela Santanchè. Si affaccia Nicola Cosentino. Arriva persino Giuliano Ferrara. Tutti a vedere il domatore che parla e risponde. La rappresentazione moderna e vagamente teatrale del gladiatore che si espone al giudizio, che si difende, «perché voi siete il tramite, ma io parlo agli elettori, agli ascoltatori».
Lui, plurindagato in tre procure - l’ultima accusa l’associazione segreta a delinquere per la presunta P3 - non lascia il ruolo di coordinatore del Pdl. Perché il suo lavoro, la politica, «lo appassiona». A via dell’Umiltà, la storica sede di Forza Italia, chi sa di che pasta è fatto - un ottimismo magnetico e spiccio, un modo di approcciare la gente abile eppure trasparente - sapeva che non si sarebbe dimesso. E sapeva che sarebbe stato un grande show. Anche involontario, se vogliamo.
La giornalista dell’Unità Claudia Fusani chiede conto a Verdini di una serie di assegni. Il deputato Pdl Stracquadanio reagisce interrompendola e accusandola di dire «una montagna di cazzate». Verdini gli fa cenno di stare calmo. Lei risponde a tono, Verdini inizia con la sua risposta, ma a questo punto si sente la voce di Ferrara che grida: «Adesso basta! Perché non chiedete alla Fusani come mai è passata da Repubblica all’Unità in condizioni ancora da chiarire!». Poi, uscendo dalla sala furibondo: «Siamo in uno Stato di polizia!».
Il domatore tende la mano per tutti: «Chiedo scusa, le chiedo scusa». E risponde. Anche alle minuzie. Niente lo smonta. Niente lo agita. Nemmeno delle urla che si sentono arrivare da fuori. Qualche collaboratore aggrotta le sopracciglia, qualche giornalista sospetta che stia per materializzarsi una scena da Raphael, le monetine tirate addosso a Craxi, la protesta spontanea che insorge nel luogo del potere. E invece ecco gambe veloci che passano davanti al portone di via dell’Umiltà. Fischietti, risate. Era solo una gara podistica.
Verdini andrebbe avanti pure con un carroarmato in sala. Dice che non ha nulla da rimproverarsi: «Rifarei tutto». «Soldi in tasca non li ho presi. Lo dico a voce alta e sul mio onore». E sia chiaro che «tutti devono avere come obbiettivo la legalità: gli italiani si possono dividere tra destra e sinistra, ma sulla legalità no». Non può passare però il concetto per cui «da un lato della strada ci sono le vergini e dall’altro le prostitute». In Italia c’è un «doppiopesismo pericoloso per la democrazia»: «Anche il principe Caracciolo (editore del gruppo Espresso, ndr) ha fatto un pranzo con Carboni». Ma non è stato giudicato «sconveniente». Bocchino dovrebbe ricordare come il Pdl «si strinse intorno a lui quando alla Camera arrivò una richiesta di utilizzo di intercettazioni» che lo riguardavano. Microfono. Risposta. Fine. Dopo un’ora e mezza: «Bene, con voi ho fatto e ora vado avanti».

Commento sintetico della Santanchè: Denis ha le palle vere. In serata, raffica di comunicati di solidarietà per Claudia Fusani: dall’Unità, dal Pd, Dall’Italia dei Valori, e infine anche dal cdr di Repubblica, il giornale che la mandò via e che ora la abbraccia.

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