L’Udc perde pezzi al Sud, guai per Casini

Il caso Puglia: in 120 si sono autosospesi dal partito dopo lo «scippo» del seggio a Montecitorio che spettava a Salvatore Greco

L’Udc perde  pezzi al Sud, guai per Casini

da Roma

E adesso? «Adesso faremo un’opposizione repubblicana», annuncia serafico Pier Ferdinando Casini. E cioè? «Faremo un’opposizione pragmatica. Destra, sinistra e centro sono categorie che ormai non esistono più. Bisogna sgombrare il campo da ideologismi, da sfascismi e da vecchi ostruzionismi, incalzeremo il governo sulle cose concrete guardando ai contenuti e all’interesse della nazione. Rispetto Veltroni e rispetto pure Berlusconi». Questa in pillole è la linea movimentista che, all’inizio della legislatura, Casini indica al suo partito.
Ma il problema, per l’ex presidente della Camera, è proprio il partito e come tenerlo insieme. Infatti, repubblicana o pragmatica che sia, sempre di opposizione si tratta, una parola che a molti colonnelli o anche semplici capitani dell’Udc non piace per niente. Per come si era messa alla vigilia, Casini può dichiararsi quasi soddisfatto. «L’importante è essere qui vivi», ha spiegato l’altro giorno a Montecitorio. Non basterà però la pattuglia di 36 deputati e tre senatori che è riuscito a far eleggere e nemmeno l’elezione di Rocco Buttiglione a vicepresidente della Camera, ottenuta grazie al via libera del Pd, a tener buoni i suoi.
Una piccola grande rivolta che sta scoppiando in periferia. In Puglia, ad esempio, in centoventi hanno scritto una lettera e si sono autosospesi dal partito. Dirigenti, quadri, persino il sindaco di Castellana Grotte, sono tutti infuriati per il mancato ingresso di Salvatore Greco a Montecitorio. Trentun anni, segretario provinciale di Bari, figlio di Mario, ex senatore di Forza Italia, quinto nella lista dell’Udc. Per lui sembrava fatta, si era addirittura presentato al portone della Camera, quando lo ha raggiunto la telefonata di Casini che gli annunciava il cambio di programma: Buttiglione e Cesa, candidati in varie circoscrizioni, dovevano optare per la Puglia, visto che nessuno dei potentissimi centristi siciliani voleva mollare. Adesso a Bari sono sul piede di guerra. «L’otto per cento alla Camera e il quasi otto al Senato non significano nulla? - si lamenta Greco -. Qui chi ha votato per noi ha scelto me, non l’Udc». Per lui è pronta la carica di vicesegretario: sarà sufficiente per sedare la rivoluzione?
Turbolenze anche nel forziere elettorale siciliano. «Otto su dieci dei nostri vorrebbero tornare con Berlusconi - rivela Totò Cuffaro - ma è chiaro che non possiamo presentarci con il cappello in mano». Insomma, tempo al tempo. Intanto hanno già preso le misure. Nonostante l’indicazione ufficiale di votare scheda bianca, martedì al Senato Renato Schifani si è trovato quattro schede in più. «È l’uomo giusto al posto giusto», ha detto il segretario regionale Saverio Romano. Stesso discorso per Fini il giorno dopo. Lamentele arrivano pure dall’Abruzzo, dove Rodolfo De Laurentis ha dovuto lasciare spazio all’«esterno» Ferdinando Adornato, e dal Veneto, dove Bergamo e D’Agro sono stati appiedati in favore di Roberto Rao. Anche in questi casi Casini ha promesso future compensazioni.
E poi c’è il Lazio, altro serbatoio centrista, dove Mario Baccini, dopo aver apertamente sostenuto Gianni Alemanno per il Campidoglio e votato Gianfranco Fini per Montecitorio, si prepara a tornare nel Pdl. Primo passo, «in attesa della convocazione della Costituente di centro», l’iscrizione al gruppo misto.

Baccini, in rotta con Savino Pezzotta e Bruno Tabacci, ha quindi di fatto già abbandonato la neonata Rosa Bianca. Per il futuro ha le idee chiare. Punta, raccontano, a fare il candidato del Pdl per la Regione Lazio nel 2010.

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