L’ultima recita di Zidane fenomeno solitario

Ancora tre ore di pallone per l’uomo che ha stregato il Brasile

Tony Damascelli

Ci sono molti uomini felici in Francia. Prendete Raymond Domenech, quello che ha l’aria di un maître d’hotel che ti rifiuta anche una singola a novembre. Stringe i pugni e sogna che Zinedine Zidane metta in porta due gol prima al Portogallo e poi alla Germania o all’Italia, non importa. Prendete Douglas Gordon e Philippe Parreno, i registi del film Zidane, portaritratto del 21º secolo, già acquistato per duecentomila dollari dal Guggenheim di New York ma già cult, dopo gli ultimi fotogrammi mondiali. Prendete Orange, la compagnia telefonica che ha Zizou come uomo immagine, ha moltiplicato i suoi contratti. E se non bastasse chiedete alle Generali di Francia, la compagnia di assicurazioni che in due mesi ha visto crescere la propria notorietà pubblicitaria dal 24 al 37 per cento, con la campagna firmata Zidane «contro la deriva ambientale causata dal riscaldamento climatico». Forse sarà dovuto anche al popolo che si scalda per i gol dell’artista. E l’Adidas? Ha venduto ventimila magliette di Zidane vestito con i colori di Francia. Ecco il fenomeno, quello vero, non grasso, non grosso, non giramondo in discoteca e spupazzatore di femmine in ogni dove (ho detto forse Ronaldo?). Ecco Zinedine Zidane, un tempo detto e chiamato Yaz, quasi un colpo di frusta, lungo le strade de La Castellana a Marsiglia, dove, secondo la sua stessa memoria, «avevo conosciuto la merda e potevo morire per un colpo di pistola». Ecco Zidane, calciatore unico di un’epoca di globalizzazione e di football omogeneo e omogeneizzato. Il suo calcio è arte, semplice, immediata e al tempo stesso raffinata. Il suo calcio non strilla, non elettrizza, non intossica. Semmai provoca stordimento, di piacere.
Era arrivato a questa coppa del mondo, l’ultima della sua carriera, con i coriandoli bagnati del carnevale madridista, il Real stanco, e fiacco anche il suo «regista», ideale sostantivo per un film che invece non ha più attori. C’era lo strano presentimento che Zidane avrebbe fatto passerella, anche malinconica, come capita per gli artisti al tramonto, qualche passo di danza, qualche tocco elegante, del resto questo suggerivano le ultime esibizioni della nazionale che fu campione del mondo e d’Europa.
Zidane ha fatto meglio, sta facendo di più, ha segnato un gol alla Spagna, ne ha inventati altri per i suoi sodali che, di colpo, sono tornati enfants de la patrie.
La leggenda del secolo, scrivono i colleghi francesi che quando c’è da andare con l’enfasi e la letteratura non si fanno mancare nulla. Zidane è di sicuro l’interprete di un football che si sta esaurendo ma che ha bisogno assolutamente di tipi così, di Ronaldinho e di Totti, per dire di uomini e posture che quasi tutti conoscono ma che, al confronto, restano ancora in lista di attesa. Zidane ha lasciato memoria a Bordeaux, l’ha lasciata fortissima alla Juventus, è diventato simbolo del Real per il quale continuerà a lavorare, occupandosi dei bambini, non so bene come, le sue parole sono rare, l’ombra del suo corpo opprimente, conteranno i gesti e qui non ci saranno altri docenti.
Zidane resta un Fenomeno diverso, un uomo introverso, un ragazzo cresciuto in fretta, un solitario che si esalta nel gruppo ma torna a isolarsi quando la festa è finita, in un angolo dello spogliatoio, nella cuccia della sua famiglia, può essere Marsiglia, Torino, Madrid, è casa Zizou e basta.
Il film di Gordon e Parreno, è niente altro che la sua recita in campo, senza finzione. Sono i fotogrammi esclusivi di una partita tra il Real Madrid e il Villarreal, giocata il 23 aprile del 2005, davanti agli ottantamila spettatori del Bernabeu, diciassette telecamere sincronizzate seguono con il loro obiettivo Zizou sempre, comunque, inquadrano il sudore che zampilla come da un rubinetto, dalla sua fronte, dal suo mento. Gli occhi da tigre, la barba mai ben rasata, quel leggero ingobbirsi nella corsa che lo rende misterioso e al tempo stesso minaccioso, il dribbling ondeggiante, il tocco del pallone in controtempo, il sorriso che è un ghigno e mai una risata aperta, piena, libera, lo sguardo duro, feroce quasi, che si trasforma, diventando dolce quando il gioco è finito: Zidane.
Zizou ha rispedito a casa prima Raul e Casillas, dopo Ronaldo e Roberto Carlos, colleghi suoi nella sagra madridista, senza vendette, senza carezze.
Adesso rivede Figo ma ha un conto in sospeso, e con lui tutta la Francia del pallone e non soltanto questa. Il conto con la Germania, il ricordo amaro di quella semifinale di Siviglia, era il 1982, Zizou era un gamin senza luce, giocava tra le curve polverose di Marsiglia mentre Michel Platini e la nazionale francese venivano beffati da un arbitro che non vide il tentativo di omicidio di Tony Schumacher su Battiston in una partita assurda, la Francia in vantaggio 3 a 1 nei supplementari, la Francia battuta ai rigori dalla Germania che poi noi avremmo umiliato al Bernabeu.
Ecco il sospeso, nei piedi e negli occhi di Zidane, il conto da regolare con i tedeschi. Ma non si sa mai. Ci potrebbe essere l’Italia e allora altre memorie, altri giorni di gloria, una belle epoque a Torino da rivivere in novanta minuti unici, irripetibili. Irripetibili per chi ha annunciato il ritiro dal pallone.

Zinedine ha tre ore di calcio davanti a sé, tre ore di football da regalare ancora a chi ama questo sport. Sarà un altro film. Per il momento non c’è voglia di pensare al 10 luglio, quando la sala sarà vuota, lo schermo spento. C’è voglia di vedere ancora Zidane senza nostalgia.

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