Per intrigare, una storia deve nascondere fra le proprie pagine un cattivo. E un cattivo vero ha un dovere: giocarsi tutto. Accadrà domani, nel deserto di Losail, Qatar. Max Biaggi, 36 anni e tanti buoni motivi per avercela col mondo che corre e impenna, ha infatti smesso i panni del corsaro nero per indossare quelli ancor più scomodi del predone. Non monta un cammello ma una Suzuki ufficiale. Quest’anno poteva concedersi ancora qualche soddisfazione da cattivo della MotoGp, da avversario del buono, di quel Valentino Rossi che ora, in fondo, lo rimpiange. Poteva persino guidare una Ducati del team satellite D’Antin, quella di Barros per intenderci: da lì avrebbe potuto tentare la risalita, candidarsi a diventare l’altra bandiera della Rossa dopo Capirossi. Se fosse arrivata la vittoria tutti avrebbero detto è un grande il Max, guardate che cosa sa fare con la Ducati non ufficiale; se avesse perso nessuno l’avrebbe criticato più di tanto perché la Rossa ufficiale era un’altra, quella di Loris. Invece il cattivo che solo a conoscerlo cattivo non è, «è un ruolo che mi avete dato voi - dice - chi mi conosce sa quanto io sia sensibile», questo cattivo ha scelto la strada più difficile: la Superbike.
Biaggi sa di non poter sbagliare. La Suzuki gli ha fornito la moto ufficiale; insieme sono loro i veri avversari della Ducati campione del mondo di Troy Bayliss; per cui Max non potrà sbagliare, non potrà recriminare, non potrà dire la mia moto è una pentola. Nessuna scusa, niente “se o ma...”. Come Ronaldo che sceglie il Milan e non gli arabi pieni d’oro, Biaggi ha scelto il campionato più crudo, quello che se non fosse per Rossi, per Capirossi, se non fosse stato per la rivalità fra lo stesso Max e Valentino, darebbe del filo da torcere, in quanto ad audience, alla MotoGp. Perché la Superbike è più vicina al motociclista tifoso, le moto sono derivate dalla serie, e le gare sono in due manche, e ogni Gp lo vinci due volte, e ogni gara macini più chilometri e fatichi di più.
C’è qualcosa di diabolico nella scelta di Biaggi, quasi fosse una vendetta ben studiata da non ammettere neppure sotto tortura. Nel 2006, dopo l’annus horribilis con la Honda, i grandi team gli fecero terra bruciata attorno. Un sedile per lui neanche a parlarne. Tanto più che con la Honda Hrc non era andato un granché bene, tanto più che - si scoprì poi - il colosso nipponico aveva una gran voglia di aprire le porte ai giovani e Biaggi non rientrava più nei piani. Max punta ora a dominare la Sbk, a battere la Ducati, a diventare il primo campione del mondo italiano e solo allora, a tornare in MotoGp dalla porta principale per regolare il grande conto che resta in sospeso con Rossi. Non a caso, a Losail, dopo la prima giornata di qualifiche, ha il terzo tempo dietro alla Yamaha di Haga e alla Honda di Toseland, e il campione del mondo Bayliss e la Ducati sono dietro. «È andata bene, come pensavo» commenta, e sulla fama di cattivo sorride: «In tutte le rivalità sportive ci sono un buono e un cattivo... non avrei voluto ma la parte l’avete scelta voi per me.
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