Riunità dItalia. Questo Paese non può ritrovare nel Risorgimento e nella Resistenza la sua unità, ma deve puntare oggi alla sua riunificazione. Perché il Risorgimento come la Resistenza evocano oggi due ferite nel corpo e nella memoria dellItalia. Certo, hanno ragione Napolitano e Berlusconi ad auspicare la riunificazione nazionale. E fa piacere vedere il Capo dello Stato e il Capo del governo concordare sulla necessità di unire lItalia: fa piacere vedere un uomo del Sud e un uomo del Nord, un vecchio compagno del Pci e il leader del centrodestra, ritrovarsi in questappello. Ma lunità dItalia dobbiamo ritrovarla nel presente più che in quel passato. Perché quei due eventi, imparagonabili tra loro e assai diversi, lasciano aperte più ferite di quante ne abbiano chiuse. Ha ragione Berlusconi ad auspicare di andare oltre il passato e i padri costituenti.
Ad essere precisi, il Risorgimento e la Resistenza non divisero in due lItalia, ma la spaccarono in quattro, come una croce su un cerchio. Per cominciare, il Risorgimento non divise lItalia solo tra patrioti e antirisorgimentali, che furono due minoranze. Ma ci furono altre due fette più cospicue dItalia che non presero parte alla guerra nazionale. Mi riferisco ai contadini e i gattopardi del Sud, e mi riferisco ai popolani e agli aristocratici del Nord, legati allimpero asburgico, ai principati fino al Papa Re. Il ventre largo e profondo dItalia, cattolico e rurale, restò fuori dalla contesa, pensò a vivere e a sopravvivere, si rifugiò nella Chiesa, nella famiglia e negli affari suoi. Ciò non sminuisce ma avvalora il ruolo delle minoranze che misero in gioco la loro vita per servire una passione civile, obbedire allamor patrio e allideale di unità nazionale.
La stessa cosa va detta della Resistenza. La guerra di Liberazione non spaccò lItalia solo tra due fazioni, i fascisti della Rsi e gli antifascisti della lotta partigiana. Ma ci furono due più cospicue popolazioni che non furono né con la Repubblica di Mussolini né con il Cln; una è quella, in prevalenza meridionale, che continuò a identificarsi, seppur tiepidamente, nella monarchia. Unaltra è quella, spaventata, che si rifugiò nella propria vita, nella famiglia o nella Chiesa, esattamente come accadde durante il Risorgimento e non prese parte. UnItalia forse più prudente, forse più vigliacca che si chiamò fuori dalla guerra civile. Era stata tiepidamente fascista, poi fu tiepidamente moderata, democristiana e afascista; ma quelle due Italie furono la maggioranza del Paese. Naturalmente i confini di quelle quattro fette dItalia, uscite dal Risorgimento e dalla Resistenza, si attraversano e sfumano una nellaltra, non sono divise nettamente, sono contigue e apparentate. Anche nei due estremi: a volte il confine tra le due fazioni fu labile, e fu attraversato più per caso o per fato che per convinzione.
Possiamo pensare lunità dItalia senza considerare queste quattro Italie divise? No, perciò il compito dei nostri giorni è tentare la riunità dItalia. Come? Direi innanzitutto distinguendo tra una sfera di principi condivisi, di regole comuni, di sentimenti di unità. E dallaltro una sfera di valori divisi, di rispetto delle differenze e delle divergenze. Abbiamo bisogno delluno e dellaltro. Altrimenti lunità è retorica, è finta, non ci porta da nessuna parte. Nessuno può cancellare le identità meridionali e settentrionali, le diversità tra laici e cattolici, tra fascisti e antifascisti. Non possiamo celebrare quelle due date cancellando i perdenti di ambedue e trascurando i neutrali, che furono i più. Dobbiamo pensare unItalia inclusiva, non integralista e discriminatrice. Altrimenti la prima secessione la facciamo nel nome dellunità dItalia, estromettendo chi non si riconosce in pieno nel Risorgimento o nella Resistenza. E la prima segregazione la facciamo nel nome dellunità dItalia tra italiani regolari e irregolari, privi di permesso di soggiorno.
Questo, in concreto che vuol dire? Vuol dire affermare lUnità dItalia dando cittadinanza e voce anche a chi ne contestò i modi e alcuni fini. Date spazio anche alle revisioni storiche e critiche, ma con la finalità di comporle poi in una sintesi che dica pressapoco: la storia ci divise, le ideologie e le aspettative pure, ma cè un'identità culturale e civile che ci accomuna e dobbiamo alla fine ringraziare chi fece lItalia unita e chi fondò la libertà e la democrazia. La preferiamo unita e libera, questItalia, pur con tutti i suoi difetti. Ma senza cancellare la memoria dei suoi vizi e delle sue infamie.
Oggi è più attuale il Risorgimento che la Resistenza. Perché non cè più il fascismo e dunque non ha senso lantifascismo, non cè il comunismo e le ideologie del 900 sono finite. Mentre i temi risorgimentali del Nord e del Sud, dellunità e della separazione, dello Stato federale o centralista, sono i temi del presente. Allora, come ricordarcene? Non con altri monumenti equestri, lapidi e busti, per carità. Ma con la ripresa della storia risorgimentale nelle scuole, in tv, nei media, con la nascita di una festa nazionale il 17 marzo quando lItalia antica si dette uno Stato unito; con il confronto storico tra le due o le quattro Italie, con una serie di eventi solenni ma anche accattivanti al centro e nei luoghi dItalia. Di più non si può fare, credo. Non capisco, infine, i colleghi che hanno annunciato di dimettersi dal comitato per lunità dItalia: si danno alla secessione per denunciare un secessionismo che non cè e per dar vita ad una polemica che non hanno espresso in sede di comitato. Le uniche due contestazioni che ho sentito erano avvilenti per il comitato stesso: uno storico sindignava di una mostra prevista a Roma dedicata alle radici dellidentità nazionale dicendo che radici indica razzismo; altri volevano trasformare la storia del Risorgimento in un'ennesima celebrazione della Resistenza. Di leghismo anti-italiano non era pervenuta traccia. Ora, invece, questo bel pronunciamento: dimettersi non costa nulla perché non si guadagna nulla a starci dentro.
Prima di loro, questestate, scrissi una lettera preannunciando le dimissioni se il comitato fosse rimasto inerte sui 150 anni.
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