Mondo

L’uomo che con una parola ha ipnotizzato l’America

L’uomo nato povero ha spostato milioni di dollari con una parola. Succede sempre così nel nuovo mondo, è la solita storia americana che si trasforma in successo. E l’America appunto si è fermata, alle 9 di sera, in prima serata, solo per sentire il Prescelto annunciare la sua nuova squadra di basket.
Parlare di LeBron James è raccontare la summa di un enorme Paese, il posto dove ogni cosa è possibile, anche cambiare il destino di tutti solamente pronunciando un nome. Anzi due: Miami Heat. LeBron ha scelto e lo ha detto davanti al suo popolo, perché negli Stati Uniti il basket è una religione e intorno a lui è stata costruita una trasmissione tv, come se qui da noi Buffon comunicasse a reti unificate la decisione di lasciare la Juve. Il suo annuncio, ovvero mollare dopo sette anni Cleveland per andare in Florida, è più di un fatto di sport, è l’America che davanti al suo eroe d’improvviso si ferma e prega in diretta. L’America che ride e che bestemmia.
«È stata dura, ma ho scelto: andrò a Miami»: è bastato questo per cambiare il futuro di molta gente, far impennare l’audience, far esplodere i compensi per gli spot venduti a peso d’oro, far crollare titoli in Borsa. A Wall Street ieri mattina le azioni del Madison Square Garden, la società proprietaria dei New York Knicks, sono cadute del 4 per cento solo perché James ha deciso di non abitare in città. A Miami invece nelle strade è stata fiesta, e a Cleveland è esploso il lutto cittadino, con il proprietario dei Cavaliers che in un comunicato ha parlato di «tradimento codardo» anche perché senza James si perde un business da 250 milioni l’anno. Il tutto mentre i media venivano cannibalizzati dalla notizia, definita da alcuni «la morte del giornalismo e dello sport» solo perché Espn aveva giurato che il tutto si sarebbe risolto in 10-15 minuti: «E invece sono stati lì a blaterare. E poi sono state fatte ben 16 domande inutili prima che LeBron dicesse cosa aveva deciso». Però alle 21.52, Eastern Time, poi è successo: l’America è cambiata.
Dentro LeBron James c’è tutto questo, il contrasto di una nazione in preda sempre ai suoi eccessi e ai suoi successi, storie che possono cambiare in ogni momento, basta solo volerlo. E soprattutto dirlo. E LeBron in fondo è un déjà vu, il classico afroamericano nato povero e senza padre conosciuto, anzi conosciuto dalle patrie galere e mai più rivisto. Il ragazzo del ghetto con una madre senza lavoro e senza casa che però ha trovato nel basket la sua salvezza, così come capita sempre nei film a lieto fine che raccontano il sogno americano. Il copione è sempre quello: il giovane povero ma bravo, il coach che diventa allenatore-papà, la squadra palestra di vita per imparare che anche i perdenti nati un giorno possono vincere. Sono le facce dell’America: Frankie Walker - l’allenatore che convince mamma Gloria a fargli frequentare le elementari con i suoi tre figli - e la St.Vincent-St.Mary High School, la scuola di Akron che diventa per LeBron casa, famiglia, campo di basket, carriera. Il posto per riscattarsi, perché lui era Prescelto.
Solo che la favola non è finita, sette anni a Cleveland - dove arrivò come prima scelta nel 2003, ovvero come il giovane più ambito da parte della Nba, la lega pro dei canestri - non sono bastati per conquistare almeno un titolo, nonostante i numeri che hanno fatto impazzire gli Stati Uniti. In questi sette anni LeBron ha giocato 548 partite segnando quasi 28 punti di media, ma soprattutto è diventato il simbolo di una generazione che voleva svoltare ma che non ce l’ha ancora fatta del tutto. Per questo l’America l’altra sera si è fermata in prime time, perché vuole conoscere la fine della storia e dovrà essere per forza un lieto fine, i romanzi made in Usa non accettano sconfitte.
Nel 2004 il giovane senatore democratico Barack Obama, mentre si apprestava a salire sul palco della convention democratica, rispose così: «Sono nervoso? No, credo di potermela giocare questa partita. Chiamatemi LeBron». Ieri James, con un contratto in tasca da 85 milioni di dollari per 5 anni, ha detto più o meno la stessa cosa: «Ho scelto così perché voglio vincere subito». Visto com’è finita alla Casa Bianca, l’America ha guardato gli occhi di LeBron e ha visto. Ha visto che il sogno può continuare.

Nonostante tutto.

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