L’uomo in più: Ibrahimovic

L’uomo in più: Ibrahimovic

Basta la parola. Come il confetto Falqui. Zlatan Ibrahimovic è uno che si intende di pallone e di vittorie. Così gli è capitato ad Amsterdam, così si è ripetuto a Torino, così ha fatto e ha ancora voglia di fare a Milano. Una specie di amuleto da portarsi al collo o in tasca, sapendo che non si tratta di semplice e volgare superstizione. No, Zlatan è uno capace di fare cose bellissime con il pallone, con tutto il piede, tacco, punta, suola, esterno, interno, collo, stringa e ancora con la testa, appuntita, con il corpo, spigoloso. Dell’attaccante, come si intendeva e si intende, Ibrahimovic ha pochissimo se non il senso del gol, per il resto è il genio della lampada sulla tre quarti del campo, a destra o a sinistra e al centro, dovunque vada, si sposti, affondi, diventa un proiettile, una vipera, uno stiletto, un’ascia. Si diverte e diverte, nel suo reality show di altissima audience ma entra pure in astenia, quasi indisponente, quando si fa prendere dalle paturnie e allora sbuffa, stringendo le labbra a culo di gallina, molestato dall’avversario che lui stesso aveva dapprima pizzicato, con una parola-parolina, in slavo, svedese, olandese, italiano o con la lingua sua del football, un tunnel, un massaggio sfottente ma non strafottente del pallone, la finta addormentata a destra, poi il dribbling fulmineo a sinistra, il colpo di tacco che Carosio chiamava «giorgina» e Brera «scarengia» (pensate al movimento della gamba che si allarga, si apre, quasi volesse liberarsi di aria, capirete), e oggi viene detta «a scorpione». Il repertorio di Zlatan Ibrahimovic non ha fine, i bagagli sono diversi e ne fanno uno dei calciatori più moderni del calcio, tecnicamente antico, tatticamente attuale, atleticamente atipico, fisicamente formidabile, caratterialmente maledetto.
Tutto questo, messo nel frullatore da Zlatan, porta a un prodotto di altissima qualità al quale poi, lui stesso, aggiunge l’astuzia della sua terra di origine, svezzata in altri siti come la Svezia o l’Olanda, prima di mettere casa in Italia, luoghi di vita dolce e, quando Zlatan non era ancora padre e consorte, di dolce vita.
Il popolo interista non pensava che Ibra potesse andare così in alto, lo aveva accolto, e direi giustamente, con la diffidenza che si nutre nei confronti di uno che viene dall’indirizzo sbagliato, da quelli lì, dai gobbi della Juventus con tutte le loro malefatte. Era stato fischiato a San Siro, quando vestiva alla bianconera e segnava anche qualche golletto, ma Zlatan ha fatto in fretta a sbattere fuori dal Meazza scettici e diffidenti, malmostosi e rancorosi. Sapendo giocare a football ha dimostrato di essere stato ingaggiato per questo, si è messo a disposizione, ha furbettato dicendo di essere stato interista da sempre, cosa che gli ha fatto crescere vieppù il naso cyranesco che già lo precede dalla nascita, ma poi non ha vissuto mai di rendita, a parte quella nottata bastarda di Valencia dove ancora stanno cercando tracce di un attaccante con le iniziali Z.I.
Sarà anche la presenza nello staff di un certo Sinisa, che con i piedi e con la lingua, in tutti i sensi, si può benissimo accostare a lui, sta di fatto che Ibra è cresciuto, come una torta bella, profumata, dolce, è migliorato, come sa e deve fare un campione vero e non una figurina di cartapesta, giocando per sé, ogni tanto, e per la squadra, quasi sempre, punto di riferimento decisivo per l’Inter, devastante per l’avversario.
Ha segnato come mai gli era accaduto prima ma la spiegazione è facile facile: chi ha sbagliato annata all’Inter quest’anno? A parte qualche bullo brasilero. E se l’orchestra sa suonare ecco che il solista emerge, ecco che il talento illumina, ecco che il campione sfiora il fuoriclasse. Zlatan Ibrahimovic oggi è il calciatore che tutti vorrebbero avere, più di Ronaldinho, prestipedatore muscoloso ma non muscolare, più di Kakà, elegante, superbo ma a volte impalpabile.
Queste cose già le avevano intuite ad Amsterdam, quando andarono a prelevarlo in Svezia (qui dico che Piero Frosio lo aveva individuato, segnalato ma non se ne fece nulla!), lo stesso accadde alla Roma che non riusciì ad acciuffarlo per assenza di denari necessari cosa che non mancarono invece alla Juventus e ancora all’Inter, più furba e pronta, finalmente una volta nella vita, a togliere da sotto al naso del Milan il tartufo, quando il diavolo era già sicuro di averlo a centro tavola.


Zlatan Ibrahimovic ha portato bene a Mancini (che in fondo così era da calciatore, fantasioso, ogni tanto fantastico, altre da inseguire per il campo con un bastone) ma ha fatto bene a se stesso, bonificando una immagine che si era sporcata per gesti un po’ bizzarri. Moratti se lo tenga ben stretto e non dimentichi che Zlatan ama andare un po’ qua, un po’ là. E lo schema di Mancini non c’entra.

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