L’uomo più letto del mondo? È un artista che fa il tipografo

L’uomo più letto del mondo si chiama Matthew Carter e fa il tipografo. Lo schermo è bianco. Ma le lettere che scrivi hanno un carattere, una storia. Nascondono il segno della tua personalità. Una volta uno scrittore raccontò che non è mai riuscito a scrivere in corsivo. È fin da piccolo disgrafico. Dalla penna gli escono solo segni in stampatello. È per questo che al computer la sua rivincita è scrivere in Italic, in Vladimir, o in Bradley. Tutti caratteri corsivi, di bella grafia, con le grazie e gli svolazzi. È la vendetta contro la sua mano. Un calcio alla vergogna di «non saper scrivere». Il guaio del corsivo è che sul video stanca, si vede male, confonde.
Cosa c’entra tutto questo con Matthew Carter? Questo signore è entrato da tempo nelle nostre vite. Un giorno del 1996 Virginia Howlett, dirigente della Microsoft, contatta Carter: «Abbiamo bisogno di un carattere semplice, leggibile, che non stanchi la vista e abbia il massimo risalto anche su schermi piccoli, come quelli dei computer portatili». Carter ha già fama di essere un genio nella creazione di caratteri per la stampa. È l’ultimo erede di quella schiatta di artisti come Garamond o Giovanni Battista Bodoni. È lui il creatore del Bell Centennial, il carattere ancora usato per gli elenchi telefonici americani. Il Centennial è una variazione del Bell, che prende il nome di un tipografico inglese, e del Ghotic Bell un carattere realista sans-serif sviluppato da Chauncey H. Griffith nel 1938, mentre era a capo del programma di sviluppo tipografico alla Mergenthaler Linotype Company. Fu commissionato da AT&T (American Telephone Telegraph Company).
Carter prima gioca con i caratteri classici, si limita a sfumature e reinterpretazioni, come quando nel 1993 fa nascere dal Times New Roman il meraviglioso e elegante Georgia. Yale gli affida la missione di far rinascere i segni rinascimentali di Francesco Griffo. Quei caratteri delle edizioni Manunzio che rappresentano l’arte suprema della tipografia.
Questa volta, in quel giorno di quindici anni fa, la sfida è ancora più grande. Il maestro tipografo deve disegnare un carattere che racconti il segno di una rivoluzione culturale. Qualcosa di nuovo. Il computer cambia radicalmente il modo di scrivere e di leggere una storia, un saggio, un articolo di giornale. È come passare dalla pergamena alla stampa. Le prime lettere da stampa furono molto simili a quelle usate dagli amanuensi, chiamate comunemente caratteri gotici o, in tedesco, fraktur. I caratteri gotici erano comunque più complessi e meno leggibili. I primi caratteri tipografici per la stampa vengono chiamati «veneziani». Il motivo è semplice, dopo una sanguinosa guerra civile, nel 1462, quasi tutti gli stampatori di Magonza lasciarono la città e molti di questi si trasferirono in Italia, a Roma e a Venezia, appunto. Tra questi anche lo stampatore francese Nicholas Jenson, che ideò e costruì a Venezia, intorno al 1470, quello che dovrebbe essere il primo carattere per la stampa non gotico. Fu utilizzato per la pubblicazione di Evangelica Praeparatione, di Eusebio di Cesarea.
Antoine Augereau, il maestro di Claude Garamond, pagò la bellezza dei suoi caratteri con la vita. Fu bruciato a Parigi come eretico, forse per invidia di altri editori e stampatori, forse perché le idee della riforma protestante furono pubblicate in Francia con i suoi caratteri, che s’ispiravano alle epigrafi greche e latine. Quel segno tipografico non è mai neutro, racconta una storia, nasconde filosofie e visioni del mondo, è l’orma della modernità o della reazione, è un sentimento del tempo. La rivoluzione tipografica di Carter si chiama Verdana. A scegliere il nome fu Virginia Howlett. È la sintesi di due parole. Verdant indica qualcosa di verde come l'area di Seattle nello stato Evergreen di Washington. Ana è il nome della prima figlia di Virginia. Il Verdana è grande, ben definito, essenziale. Non è bello, ma lo vedono tutti. È il più usato su Windows e Macintosh.

Qualche tempo fa l’Ikea ha sacrificato come font ufficiale il Futura per affidarsi alla semplicità del Verdana. Sono due filosofie che si riconoscono. Il Moma di New York lo ha santificato. L’era virtuale porta il segno di Matthew Carter.

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